Kobe - Una storia italiana, la recensione

Tutto incentrato sulla celebrazione del suo campione recentemente scomparso, Kobe - Una storia italiana nella sostanza non racconta nulla

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La nostra recensione di Kobe - Una storia italiana, dal 15 settembre su Amazon Prime Video

Non è veramente una storia italiana quella che racconta Kobe, come il suo sottotitolo indica: è una storia su Kobe Bryant, sulla sua figura e sul suo mito, esclusivamente su di lui. Poteva essere inevitabile e scontato compiere un lavoro celebrativo di questo campione di basket, scomparso nel gennaio 2020 a seguito di un incidente in elicottero, appena pochi anni dopo aver chiuso una grande carriera in NBA, coronata da 5 titoli. Meno (come ci dimostra il recente Sic) lo era realizzare un documentario che, in appena 80 minuti, riesce a risultare ripetitivo e ridondante nei modi in cui sembra intenzionato a non essere altro che una sfacciata agiografia, lasciando tutto il resto sullo sfondo.

Diretto da Jesus Garcés Lambert (Caravaggio - L'anima e il sangue), Kobe - Una storia italiana si focalizza sul periodo, tra i 6 e i 13 anni, trascorso nel nostro Paese dal giovane Bryant, quando con la sua famiglia accompagna il padre Joe, anch'esso cestista, tra varie squadre, passando a Rieti, Reggio Calabria, Pistoia a Reggio Emilia, muovendo i primi passi nel mondo del basket. Il documentario dà voce ai suoi cari amici, ai primi allenatori e giornalisti, alternando filmati d'archivio, ricordi dello stesso Bryant a scene con attori che ricostruiscono piccoli momenti che la camera non poteva registrare, come i pomeriggi passati dal piccolo protagonista con una sua amica.

L'obiettivo del film sarebbe dunque quello di evidenziare l'importanza, a livello umano e professionale, dell'esperienza in Italia per la crescita e la carriera di Bryant, raccontandone un lato più privato. Ma, nei vari interventi, il ritratto che emerge è solo quello di un ragazzino che fin da piccolo sembrava destinato a diventare un campione, determinato sempre a fare e a essere il meglio, un elenco di tutti quei inequivocabili "segnali" del suo glorioso futuro. Così, il lato umano suo e di chi gli è stato vicino viene presto sacrificato a favore di un'ode unanime che lo innalza a mito e a divinità. Il protagonista viene evidenziato sempre come ossessionato dalla vittoria e dalla perfezione, ne vengono messe in luce tutte le maniacalità che lo rendono speciale, ma una potenziale storia sui lati oscuri di questo, su una possibile ritratto di Bryant anche come figura sfaccettata e complessa, viene meno a favore dai toni da santino che dominano il film. È in particolare l'approccio poi con cui viene messo in scena questo quadro a non funzionare, tra momenti facilmente strappalacrime (la lettura della lettera d'addio di Bryant), ralenti esasperati e la totale inutilità delle scene ricostruite.

Il documentario dunque non racconta nulla di veramente nuovo su quello che già si conosceva del personaggio e anche qualsiasi altro spunto di riflessione viene meno. Nel passaggio della famiglia Bryant in varie città, ai margini emerge la collisione tra un'Italia che negli anni '80 sembra ancora ancorata alle tradizioni e chi invece porta con la cultura americana, simbolo di modernità e progresso. Ma sono solo momenti fugaci, e di conseguenza un ritratto di alcune città meno note del nostro Paese non emerge mai, lasciato affiorare solo da alcune brevi informazioni storiche/culturali che ci vengono concesse. In definitiva, dunque, Kobe - Una storia italiana potrà piacere forse solo all'appassionato e al fan di Bryant, che ne potrà vedere esaltate le gesta; chi invece cercherebbe qui di imparare qualcosa sul protagonista, sul basket o di avere uno scorcio inedito sull'Italia rimarrà deluso.

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