Kipo e l’era delle creature straordinarie (seconda stagione): la recensione
Nella seconda stagione di Kipo e l’era delle creature straordinarie è l'azione a farla da padrone: ecco la nostra recensione
La prima stagione ci aveva fatto conoscere il mondo dopo la fine del mondo nel quale sono ambientate le avventure di Kipo Oak, una post-apocalisse coloratissima e ottimista ai limiti del twee popolata da animali senzienti e da creature gigantesche e tendenzialmente assurde come il Megaconiglio. E ci aveva presentato il party – il termine è preso a prestito dal mondo videoludico, e non a caso, visto quanto è evidente l’impronta dei videogiochi nell’immaginario, nella struttura narrativa e nell’idea stessa di azione di Kipo – che accompagna la protagonista nelle strade, coperte di vegetazione lilla e popolate di scorpioni con tre code, di Las Vistas: Wolf la bambina guerriera, Mandu il maiale con quattro occhi, la strana coppia composta da Benson e Dave, rispettivamente un umano e un insetto dal ciclo vitale acceleratissimo. La seconda stagione riprende da dove li avevamo lasciati: pronti a scontrarsi con Scarlemagne, il cattivissimo mandrillo fissato con la nobiltà ottocentesca che vuole soggiogare gli esseri umani e diventare imperatore, e pronti a scoprire qualcosa di più sugli apparenti superpoteri di Kipo.
È un setup che sarebbe potuto esplodere in mille direzioni, e che Sechrist e Wolkoff decidono per l’appunto di fare esplodere in mille direzioni, frammentando ancora di più la linea temporale della narrazione, facendo ampio uso di flashback, andando alla scoperta del passato di quelli che finora erano solo personaggi di supporto per la protagonista assoluta, scegliendo persino di approfondire le origini e le motivazioni del supercattivo di turno. Il risultato è paradossalmente meno assurdo e psichedelico della prima stagione, nella quale ogni episodio era un’occasione per introdurre un nuovo pezzo del mondo di Kipo e di sorprendere con invenzioni e deliri. Non che nella seconda stagione manchino i momenti dove la droga prende il sopravvento – tra le altre cose si segnalano le capre indovine che leggono il futuro nel formaggio e i pipistrelli complottisti convinti di poter comunicare con gli alieni –, ma sono (quasi) sempre funzionali a portare avanti la narrazione, ad aggiungere un tassello a un puzzle, quello dell’identità e delle origini di Kipo, che ora del decimo episodio si è rivelato molto più complesso di quanto sembrasse all’inizio.
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