Kingsman: Secret Service, la recensione
Vorrebbe essere un film di Edgar Wright Kingsman ma ne ha solo la voglia di divertire con la conoscenza delle regole dei film e non la profondità di lettura
Il regista di Kick-Ass mette in scena un'altra volta una parodia che non è tale, un fumetto che parla di cultura pop, rielabora stereotipi e luoghi comuni di un genere per aderirci quanto più possibile. Kingsman: Secret Service fa allo spionaggio bondiano quello che Kick-ass fa ai film di supereroi: cerca di divertirsi con le sue regole traendone una storia paradossale. Non va mai preso sul serio il grande baraccone che Vaughn mette in piedi tra reclutamento di una nuova leva, addestramento alle arti di un ordine di spie centenario e lotta contro un villain che vuole conquistare il mondo, bisogna lasciarsi contagiare dalla sua voglia di divertirsi.
Addirittura Vaughn sperimenta una forma di piano sequenza nella mischia con una macchina a mano mossa eppur controllata che sembra la versione pompata della maniera in cui Gareth Evans si getta assieme ai suoi protagonisti nel vivo dell'azione in The Raid (film punto di riferimento per l'action moderno che sta cominciando ad essere imitato).
Certo non c'è niente della profondità di lettura di Wright (che vuole divertire ma ha anche un corposo sottotesto che si prende sul serio) solo il suo più immediato umorismo. Nelle spie che paiono supereroi, che sanno di essere spie con il mito di James Bond e Jack Bauer, che vedono i film di spionaggio e ne conoscono i luoghi comuni c'è la volontà di non essere come gli altri, quel tocco di metacinema che cerca di elevare il film al di sopra della concorrenza. Diversamente da quelli che si prendono più sul serio (come Marvel e DC) Kingsman dice allo spettatore "Io e te siamo uguali", non finge di non sapere quali siano gli stereotipi del genere e come Scream negli anni '90 comunica con lo spettatore alla sua stessa altezza, partendo dalla stessa conoscenza condivisa. È il cinefumetto che non si prende sul serio, che è consapevole di essere puro escapismo e cerca di farlo al meglio, come una farsa in cui tutti recitano senza costumi o maschere ma per quello che sono, per il puro divertimento di realizzare l'artificio senza un'eccessiva sospensione dell'incredulità, potendosi così permettere di arrivare ad estremi (le gambe di lame, le voglie sessuali della principessa di Svezia) che altrove sarebbero ridicoli.