Kingsman: Il Cerchio D'Oro, la recensione
Al secondo film la serie Kingsman perde la personalità e diventa un format declinabile in ogni paese
Kingsman si sposta definitivamente e diventa una saga americana, cambia i protagonisti, ingloba una star (Channing Tatum) sostituisce il mentore (Jeff Bridges) e di fatto cambia tonalità. Se il primo film ribadiva e esplicitava il principio base di James Bond, cioè che le caratteristiche del gentiluomo inglese sono le medesime necessarie per essere un agente segreto, che lo stile di vita raffinato e cosmopolita è quello del vero uomo, risoluto e d’azione, questo lo allarga all’action all’americana, pompa ancora di più le componenti di presa in giro dei film di Bond (dal pugnale nella scarpa, alla macchina subacquea, fino al quartier generale in cinema alla montagna) e conferma il villain da fumetto (Julianne Moore in un mondo in stile anni '50 ma pieno di robot). Su tutto però regna una scrittura che spreca ciò che di buono il primo film aveva creato, usando come foglia di fico la partecipazione di Elton John.
Impegnato su molti fronti (c’è anche la trama del ritorno di Colin Firth) Kingsman: Il Cerchio D’Oro perde l’anima vera del primo film e la sostituisce con una maschera, con la ripetizione delle scene più note ed eclatanti, con l’arrivo dei pezzi grossi di Hollywood a prendere le redini di tutto e con un senso di spettacolo che non passa mai per la vera meraviglia o per un’invenzione acuta, ma pretende di essere tale solo con l’accumulo e la quantità.