The Kingdom Exodus, la recensione di tutti gli episodi

Dopo quasi 30 anni Lars Von Trier torna a The Kingdom con Exodus ma tutto è così come prima, così uguale da non avere quasi senso

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione della terza stagione di The Kingdom: Exodus

Quasi 30 anni dopo non è cambiato niente. Quando entriamo nell’ospedale del Regno, dopo un breve prologo al di fuori, torna la grana digitale a bassa qualità e torna la color correction seppia. Non è passato un giorno anche se in realtà sono passati decenni e scopriamo che nel mondo della serie Il Regno le prime due stagioni avevano fatto recitare i veri medici e vere infermiere. Lo raccontano loro che quella serie ha rovinato l’immagine dell’ospedale e che quel Von Trier lì è un bastardo. E fa ridere che questa idea di fantasia costituisca un approccio molto più “dogma” di quello che fu invece seguito all’epoca per la vera realizzazione.

Ad ogni modo se non cambia niente nella messa in scena (ci sono addirittura gli establishing shot dell’ospedale dall’alto, una lingua delle immagini vecchissima) non cambia nulla nemmeno nei contenuti. Personaggi vecchi e nuovi interagiscono seguendo il doppio binario del fantastico/horror e della commedia. C’è un risveglio che rischia di mettere tutto a repentaglio e scatenare il demonio ma anche un nuovo medico svedese che disprezza i danesi, legato ad un personaggio delle passate stagioni, che arriva all’ospedale e scopre di non essere l’unico svedese.

Le 5 puntate da un’ora di The Kingdom: Exodus procedono quindi proprio come le precedenti, mostrando anche un’invidiabile inventiva. Non si può infatti dire che ci sia stata pigrizia o che sia stata fatta con la mano sinistra. Anzi. La serie non è mai a corto di battute, situazioni comiche e svolte horror, addirittura azzecca anche due immagini bellissime, quasi memorabili: il cuore di tutto l’ospedale, gigantesco, contenuto i uno stanzino che viene operato, e poi “fratellone”, il nuovo personaggio di Udo Kier che stavolta non esce da una donna ma è una testa gigante immersa fino al naso in un lago di sue lacrime. Bellissimo.

Il resto bellissimo lo è molto meno, perché se la creatività c’è la formula e soprattutto la lingua per immagini degli anni ’90 stancano ben presto, fino ad un ultimo episodio che si prende stranamente sul serio (almeno fino ai fotogrammi finali in cui c’è una comparsata eccezionale) e annoia moltissimo. Chiaramente questa è una mitologia fantastica vecchissima, trita e poco ispirata, crederci invece di prenderla in giro è folle, molto meglio allora prendersela con gli svedesi, creare situazioni in cui si possa ridere dei mutamenti sociali nei rapporti tra uomo e donna sul posto di lavoro (uno dei pochi dettagli moderni) e lasciarsi andare ad un po’ di idiozia.

Sono quelli i momenti in cui The Kingdom: Exodus dà il meglio, non quando pretende di fare vero orrore, ma quando vuole fare satira di costume in una chiave quasi demenziale, con effetti speciali di bassa lega e un senso del grottesco efficace. Tuttavia forse nemmeno questo era il reale obiettivo della terza stagione, piena com’è di riferimenti e inside jokes. Sembra che a nessuno interessi tirare dentro nuovi spettatori o creare qualcosa di autonomo, ma semmai di proseguire da dove si era lasciato con continue strizzate d’occhio ai fan che suggeriscono un secondo livello di lettura. Molte battute si capiscono solo avendo visto le stagioni precedenti, molti riferimenti, oggetti, atteggiamenti e snodi sono lì perché riprendono trame lasciate in sospeso.

Questo già non è granchè di suo ma è ancora peggio se si considera che molto di tutto ciò non regge la prova del tempo. Il coro costituito dai due lavapiatti down è sostituito da un’intelligenza artificiale e un’altra persona appartenente ad una minoranza, ma non è più la stessa cosa, non ha più quell’ironia, non c’è più quel senso della presa in giro. Anzi. Nel complesso questa messa in scena non riesce nemmeno a comunicare più quell’idea di forma nuova e distruttiva di una volta.

La verità è che il Regno era forte anche perché figlio della propria epoca e per certi versi avanti su tutti i suoi contemporanei, ora questa terza stagione non è figlia della nostra epoca e più che essere avanti sembra un po’ indietro su tutti i suoi contemporanei. Rimasta a quando era giovane sembra parlare un gergo e fare battute del liceo anche se ha 40 anni.

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