Kingdom Come: Deliverance, il Medioevo, esattamente come lo avete studiato sui libri di scuola - Recensione
Medioevo, armature, castelli, ma niente magia: la recensione di Kingdom Come: Deliverance
Lorenzo Kobe Fazio gioca dai tempi del Master System. Scrive per importanti testate del settore da oltre una decina d'anni ed è co-autore del saggio "Teatro e Videogiochi. Dall'avatara agli avatar".
Il fulcro della questione è molto più evidente di quanto potrebbe sembrare, intuibile non appena ci si scopre imprigionati, è proprio il caso di usare questo termine, nei panni di un modesto ed umile fabbro della Boemia del XV secolo. Abituati come siamo all’immedesimarci in protagonisti dotati di evidenti quanto indiscutibili qualità e abilità, frutto di un intensivo allenamento, quando non di un’innata e spesso inspiegabile inclinazione (sovra)naturale, è spiazzante per non dire frustrante scoprire che il povero Henry, anonimo e comune già dal nome, non vanti alcun talento particolare.
In evidente imbarazzo di fronte alla nobiltà che abita il fortino che troneggia sul villaggio di Skalica, ridicolizzato persino dal padre, costretto a riprenderlo per una bravata commessa insieme ai suoi amici, giura vendetta al carnefice dei suoi genitori, il generale Markvart von Auliz, reo di aver marciato sul centro abitato per ordine di Sigismondo, fratello del detronizzato Venceslao IV, legittimo regnante del Sacro Romano Impero.
Ed ecco la pazienza, la costanza, la fiducia. Sì, perché le prime ore passate in compagnia di questo action-RPG possono essere estremamente frustranti, persino enormemente noiose. Nonostante missioni e richieste di aiuto pervengano copiosamente al nostro, ci si accorge immediatamente di non essere sufficientemente preparati al compito. Come borseggiare una guardia armata, senza averne l’abilità? Come scassinare la serratura di un’abitazione in mancanza di grimaldelli? Come fronteggiare i furfanti che vorranno rubare le vostre (poche) ricchezze, se non sapete nemmeno tenere in mano una spada?
Pratica, allenamento, lenta progressione. In tutto. Consapevoli che nulla è scontato, nulla vi è dato, nulla cadrà dal cielo come manna, perché Henry non è il prescelto, non è l’eroe, non è il salvatore. É un tizio qualunque che prova a sopravvivere in quell’inferno che prende poeticamente il nome di Medioevo, epoca storica in cui ogni giorno è quello buono per tirare le cuoia, per un motivo qualsiasi.
I guai, insomma, cominciano sin da subito, sin dalla fuga da Skalica quando vi accorgerete di faticare e non poco a sopravvivere al primo tenzone. Il combat system è estremamente tecnico, tutt’altro che fluido, difficile da padroneggiare. C’è la schivata, la parata, fendenti e affondi che vanno direzionati utilizzando lo stick analogico. Ogni arma, ogni strumento di difesa, si rivela più efficace di altri in base all’equipaggiamento dell’avversario. Il tutto, insomma, svela una profondità davvero disorientante, capace, sul lungo periodo, di regalare immense soddisfazioni, che premieranno soprattutto chi ama l’approccio ragionato. Sappiate, tuttavia, che basterà una ferita per mettervi fuori gioco, mandando all’aria diverse ore di gioco.
[caption id="attachment_182155" align="aligncenter" width="1000"] Centrare il proprio avversario con una freccia è tra le cose più difficili da fare. Non ci sarà alcun indicatore ad aiutarvi a prendere la mira.[/caption]
Come premesso, l’allenamento rende perfetti e, in questo senso, il sistema di crescita di Come: Deliverance si rivela l’ennesima feature azzeccata di un gioco che non potrà che inghiottire chiunque nutra interesse per il periodo storico messo in scena. Similmente a quanto accadeva in The Elder Scrolls V: Skyrim, ogni azione si traduce in punti esperienza che incrementeranno il livello di un preciso ramo dello skill tree. Combattere con la spada, andare a cavallo, dialogare, ci specializzerà in quegli specifici campi, a discapito di altri, come l’utilizzare l’arco, piuttosto che il cavarsela con la mazza o il saper preparare utili infusi con cui recuperare energia.
C’è tuttavia una regola non scritta che influenzerà l’intera esperienza. Dal momento che ogni duello è virtualmente mortale, è sempre meglio utilizzare una strategia alternativa allo sguainare la spada. Ciò, indirettamente, vi spingerà ad affinare le abilità legate allo stealth e al carisma, qualità che, spesso e volentieri, sono influenzate da elementi contingenti come l’abbigliamento e l’aspetto estetico. Per raggiungere lo stesso obiettivo, insomma, ci sono diversi modi e, quasi sempre, il più conveniente non passa per lo scontro diretto.
Ne viene fuori un’esperienza estremamente profonda, sfaccettata, sorprendentemente adatta a diversi palati, a patto di avere la pazienza di superare le prime, disorientanti, ore di gioco in cui Henry non possiede alcuna abilità e faticherà a completare qualsiasi incarico.
Tra adrenalinici assalti, infinite cavalcate, scontri carichi di tensione e missioni piuttosto variegate tra loro, la trentina di ore necessarie per completare la main quest si arricchirà spesso e volentieri di momenti indimenticabili. L’approccio particolarissimo di questo gioco paga in pieno, regalando agli amanti del genere un titolo unico nel suo genere, caratteristico e caratterizzato in ogni suo ambito.
Non parliamo di un prodotto perfetto, tuttavia. Il comparto grafico, in primis, vive di alti e bassi. Il colpo d’occhio è soddisfacente, ma non mancano bug grafici, animazioni legnose e texture a bassa definizione. Inoltre, in rare occasioni, alcuni glitch vi costringeranno a riavviare la missione. Anche l’I.A. di nemici e NPC è altalenante, capace di spezzare, per pochi istanti, l’assoluta credibilità dello scenario storico ricreato ad arte dai ragazzi di Warhorse Studios. Si tratta di piccole e grandi sbavature, innegabili beninteso, capaci, nei casi più gravi, persino di influenzare l’esperienza. Eppure scorrono via, sommerse e fagocitate dalla ricchezza e moltitudine di avventure che vivrete.
[caption id="attachment_182154" align="aligncenter" width="1000"] Flirtare con le popolane è un passatempo piuttosto gustoso, ma per colpa di una donna potrete anche passare grossi guai.[/caption]
Non c’è la libertà, né l’ampiezza di campo di The Legend of Zelda: Breath of the Wild, ma Kingdom Come: Deliverance ci ha regalato emozioni simili a quelle esperite in compagnia del capolavoro di Nintendo. La forte coerenza narrativa, genitrice di un plot appassionante e ben diretto, sposa e dirige un gameplay che si schiude con i progressi di Henry, con la progressiva crescita che gli permetterà di completare missioni e incarichi utilizzano innumerevoli approcci e tecniche. La Boemia di Warhorse Studios non sarà l’Hyrule che attraversa il prode Link, e non solo perché mancano magie e mostri, ma ci va comunque molto vicino.
Un action-RPG semplicemente imperdibile per gli amanti del periodo storico, unico nel suo genere e per questo meritevole di un’occasione anche da parte di quei videogiocatori che solitamente non accettano sfide del genere.