Kin, la recensione
Due fratelli, un'arma che pare venuta dal futuro e una spogliarellista. La trama è facile ma Kin riesce lo stesso a sbagliare tutto
Un ragazzino reso inusualmente potente dal possesso di questo fucile è l’ago della bilancia in una storia di piccolo crimine, debiti e fughe su cui è proiettata l’ombra dei misteriosi padroni dell’arma con caschi neri per proteggere il volto degli attori che li interpretano. Viene tutto da un corto dei due fratelli per l’occasione trasformato in lungo.
Si capisce molto bene che ci vorrebbe essere tanta azione qui, unita a quell’idea comune ai cinecomics, di un grande potere nella mani di qualcuno che ci si deve abituare, un ragazzo come tanti con un’occasione come nessuno ne ha. Anche il villain interpretato da James Franco potendo finalmente indugiare nelle sue solite esagerazioni e nella sua vanità, fa pensare a quel tipo di modelli. Pensi di essere normale invece, “Ehi! Sei speciale!”. Ma i Baker evidentemente non hanno capito cosa ci sia di cool e interessante in questo tipo di storie e mettono in scena la loro come degli adolescenti invece che come dei professionisti, pensando che lo spunto basti ad avvicinare questo film ai suoi modelli, ignorando che invece ogni idea va coltivata, messa in armonia con le altre e riempita di senso dallo svolgimento.
Ad oggi che un film del genere finisca in sala è una vera rarità e ci appare inspiegabilmente sfuggito alle strette maglie che Netflix ha istituito per irretire tutte le opere di questa grandezza e mancanza di impegno.