Kimba – Il leone bianco, la recensione

Per i suoi contenuti, Kimba – Il leone bianco è senza dubbio una delle opere più rivoluzionarie di Osamu Tezuka

Classe 1971, ha iniziato a guardare i fumetti prima di leggerli. Ora è un lettore onnivoro anche se predilige fumetto italiano e manga. Scrive in terza persona non per arroganza ma sembrare serio.


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Kimba – Il leone bianco vol. 2, copertina di Osamu Tezuka

Quest'estate, all'interno della Osamushi Collection, J-POP ha riproposto in due eleganti volumi Kimba – Il leone bianco, grazie al consolidato sodalizio con Hazard Edizioni, storica casa editrice di Osamu Tezuka nel nostro Paese che ha curato la traduzione dell'opera.

Jungle Taitei (“L'imperatore della giungla”) debutta nel novembre del 1950 sulla rivista Manga Shonen, edita in Giappone da Gakudosha. L'anno precedente, con il fantascientifico Metropolis (ancora inedito in Italia) Tezuka aveva ottenuto un boom di vendite; con Kimba riuscì a fare ancora meglio, arrivando a ottenere un successo mondiale. In Italia le avventure del leone bianco arrivano solo nel 1977; lo si deve alla notissima trasposizione anime del 1966, la prima assolutamente a colori prodotta dal Sol Levante, che approdò sui nostri canali privati: fu l'alfiere dell'imminente ondata d'animazione nipponica, che avrebbe conquistato di lì a breve la Generazione X e tutte quelle successive fino a oggi.

Con il termine capolavoro s'intende la migliore in una serie di opere dello stesso autore. Quando costui è Osamu Tezuka è tuttavia impossibile applicare questo sostantivo a un singolo titolo. L'esercizio risulterebbe vano o inattendibile, non solo per la vastità della produzione del Dio dei Manga, ma per il numero incredibile di storie da lui realizzate, seminali per i futuri sviluppi del Fumetto giapponese e di quello internazionale. Kimba anticipò di due anni Astro Boy (Tetsuwan Atom) e di tre La principessa Zaffiro (Ribbon no Kishi); se non si attesta come una delle intuizioni più geniali del maestro, è senza dubbio una delle più rivoluzionarie per i suoi contenuti.

Jungle Taitei è infatti uno dei titoli più emblematici del pensiero e del sentire di Tezuka. In esso sono centrali l'amore per il nostro pianeta e una sensibilità ecologista antesignana di decenni nei confronti dell'opinione pubblica internazionale. A questi elementi si accompagnano temi che saranno sempre cari al grande mangaka, come l’accettazione della diversità, l'odio verso la guerra e la fede in una fratellanza universale, che qui si estende addirittura agli animali. La vicenda è anche e soprattutto un racconto di formazione che interessa il protagonista e poi il giovane Rune; un percorso tortuoso e costellato di difficoltà che padre e figlio compiono in modo diametralmente opposto: il primo per fuggire dalla crudeltà degli uomini, il secondo perché affascinato da loro.

"Se non si attesta come una delle intuizioni più geniali del maestro, è senza dubbio una delle più rivoluzionarie per i suoi contenuti."Tezuka utilizza nella sua narrazione tutte le tonalità che caratterizzano la vita reale: c'è posto per il riso e per il dolore, per l'ironia e per la saggezza, compresa l'inevitabile crudeltà della Natura. Qualche lettore potrà risentirsi della rappresentazione degli indigeni africani, evidentemente soggetta agli stereotipi dell'epoca; sono immagini succubi del loro tempo, come sottolinea la nota degli editori in apertura del primo volume. A ciò va aggiunto che, a parte la loro interpretazione grafica, in nessun balloon o didascalia del fumetto appare mai una parola offensiva o discriminatoria nei confronti delle persone di colore.

Il tratto di Tezuka è qui all'inizio della sua maturazione e risente in maniera decisa delle influenze dell'animazione americana; il sensei è un dichiarato estimatore di Walt Disney, e i due avranno anche l'occasione di conoscersi di persona, come ricorda Alessandro "Doc Manhattan" Apreda nell'attenta postfazione.

A onor del vero sono altrettanto innegabili le somiglianze tra Il re leone (The Lion King, 1994) e il debito d'ispirazione che la pellicola Disney ha nei confronti di Kimba, tant'è che le polemiche di plagio suscitate all'uscita del film diretto da Roger Allers e Rob Minkoff si sono riaccese lo scorso agosto, con l'arrivo nelle sale del remake di Jon Favreau. A noi piace pensare invece a un circolo virtuoso di suggestioni creative che idealmente si chiude.

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