Killing Kennedy: la recensione
Killing Kennedy, il film tv prodotto da Ridley Scott è il riassunto non molto brillante della carriera della Presidenza Kennedy
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Il primo merito va ad un cast di nomi tutto sommato noti a chi mastica qualcosa del panorama televisivo degli ultimi anni: Rob Lowe (Parks & Recreation, Brothers & sisters), Ginnifer Goodwin (la Biancaneve di Once Upon a time) e Michelle Trachtenberg (Buffy) sono i volti più familiari in scena. In linea con la messa in scena, anche qui le interpretazioni non vanno oltre il buon compito svolto, né la scrittura favorisce particolarmente eventuali grandi momenti in cui lasciar spiccare il proprio, eventuale, talento al di fuori degli ingessati panni del personaggio storico da far vivere sullo schermo.
Probabilmente i momenti più interessanti, anche perché più sconosciuti al grande pubblico, sono quelli riguardanti la vita di Lee Harvey Oswald. Il film rigetta consapevolmente qualunque tentativo di andare ad indagare tesi complottiste, eventuali accordi tra la mafia, la CIA o altri, per concentrarsi pienamente sulla vicenda umana e sulle motivazioni dell'assassino. Ciò che emerge è il ritratto di un uomo da un lato evidentemente disturbato ma soprattutto desideroso di attirare l'attenzione su di sé, di far parte e di svolgere un ruolo da protagonista nei grandi cambiamenti in atto in quegli anni. E va dato atto a Will Rothhaar di aver tratto il meglio da una sceneggiatura non brillantissima che, se ovviamente non permette di parteggiare per lui, al tempo stesso ci dà modo di comprenderne le ragioni.