Killing Eve [prima stagione]: la recensione
La prima stagione di Killing Eve supplisce, con black humour e ritmo sapiente, a una trama aggravata da schematismi ripetitivi e prevedibili
L'abisso è, in questo caso, Villanelle o Oksana che dir si voglia, conturbante sicario psicopatico al soldo di una misteriosa organizzazione denominata "I Dodici". Sulle sue tracce, spesso persa in ammirata contemplazione delle sue gesta criminali, c'è la frustrata ex agente dell'MI5 Eve; sposata a un santo, licenziata da un lavoro d'ufficio, ingaggiata da Carolyn Martens (Fiona Shaw) per risolvere, lontano dagli occhi indiscreti dell'agenzia, una serie di delitti più o meno politici che vanno costellando tutta l'Europa.
È difficile non restare imbrigliati nell'intrico prospettato dalle prime puntate di Killing Eve, che articola il gioco di gatto e topo delle due protagoniste attraverso un itinerario che garantisce una continua varietà di scenari alla serie; in parallelo, la trama presenta all'occhio dello spettatore un ricambio di personaggi senza soluzione di continuità. Per uno che esca - macabramente - di scena, un altro ne entrerà ben presto, per poi uscirne presumibilmente secondo le medesime modalità omicide.
Puntando a stupire il pubblico a suon di decessi bizzarri, lo show tratto dalle opere di Luke Jennings adattate da Phoebe Waller-Bridge (Fleabag) cade vittima del proprio stesso anticonformismo: la sua imprevedibilità diviene paradossalmente prevedibile, i suoi colpi di scena perfettamente inquadrati in un gioco le cui regole vengono spiegate per filo e per segno nella prima metà di stagione. Abituiamo in fretta la mente al fatto che chiunque necessiti di "protezione" da parte di Eve e della sua squadra cadrà inesorabilmente vittima del grilletto, del pugnale o di qualsiasi altra arma mossa dalla mano di Villanelle.
Inoltre, al contrario di illustri serie che, ben prima di lei, hanno percorso l'accattivante percorso della pericolosa chimica tra criminale e paladino della legge, Killing Eve sembra volerci convincere sin da subito dell'attrazione reciproca tra le due protagoniste senza neppure darci il tempo di maturare un'ipotesi in merito. È, anzitutto, una fascinazione raccontata attraverso le allusive battute dei comprimari: se riusciamo a intuire come Eve identifichi in Villanelle l'emblema di una vitalità furiosa e dirompente, lontano dai vincoli sociali in cui l'agente è sempre stata ingabbiata, nessun valido indizio ci viene dato in merito alle ragioni della passione del sicario nei confronti della sua cacciatrice.
L'impostazione è dogmatica: Villanelle ed Eve non possono non piacersi, poco importa dell'iter psicologico che porterà entrambe all'ambiguo incontro-scontro del finale di stagione. Non basta però una confessione masturbatoria a conferire profondità e verosimiglianza all'attrazione tra due donne che sembrano doversi piacere per dovere di trama o per modaiolo queerbaiting; fortunatamente per Killing Eve, il rinnovo per una seconda stagione potrà forse chiarire la dinamica sentimentale tra i due personaggi senza farla ricadere in schematismi tanto prudenti quanto usurati.
Il mondo sembra essersi innamorato di questa serie argutamente agile e, a fronte di questo entusiasmo pressoché incontrastato, occorre fare un passo indietro e ammettere come i difetti sopra elencati perdano d'importanza dinnanzi all'ammiccante potere dell'ironia; perché è proprio nel suo tono perennemente scanzonato che Killing Eve trova la propria linfa vitale migliore, in grado di garantirle un'ottima tenuta nel corso di otto episodi le cui dinamiche interne risultano, come detto, tanto ripetitive da farla assomigliare quasi a un procedurale.
A dispetto di quanto si potrebbe supporre, i meriti maggiori delle piccole ma necessarie variazioni intrinseche alla trama sono da ascrivere non tanto alla folle ma granitica Villanelle - il cui dionisiaco approccio alla vita sfocia sempre nei medesimi risultati - ma alla goffa, insicura Eve, ovvio richiamo empatico per lo spettatore. Nelle sue umanissime incoerenze riconosciamo noi stessi, rimproveriamo i suoi errori di valutazione pur consci che non sapremmo fare nulla di meglio; gioiamo, infine, dei suoi effimeri trionfi contro un nemico che sembra invincibile.
Sarà interessante vedere che direzione prenderà la serie nel prossimo arco di episodi; a oggi, non possiamo che decretare la riuscita di un progetto che, con una certa audacia, sembra aver sottomesso il "cosa" al "come", ripetendo eventi e situazioni in un ritmatissimo canone di rara godibilità.