Killing Eve [prima stagione]: la recensione

La prima stagione di Killing Eve supplisce, con black humour e ritmo sapiente, a una trama aggravata da schematismi ripetitivi e prevedibili

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Spoiler Alert
"E se scruterai a lungo in un abisso, anche l'abisso scruterà dentro di te." L'abusata frase di Friedrich Nietzsche viene parafrasata nel secondo episodio di Killing Eve e potrebbe esserne, invero, un'efficiente epigrafe. L'interscambio tra Villanelle (Jodie Comer) ed Eve Polastri (Sandra Oh) è al centro del brioso thriller seriale che ha, per proseguire la catena di frasi abusate, conquistato pubblico e critica grazie al proprio umorismo dissacrante e a un impeccabile cast calato in ruoli pirandellianamente in bilico tra commedia e tragedia (con una spiccata propensione per la prima).

L'abisso è, in questo caso, Villanelle o Oksana che dir si voglia, conturbante sicario psicopatico al soldo di una misteriosa organizzazione denominata "I Dodici". Sulle sue tracce, spesso persa in ammirata contemplazione delle sue gesta criminali, c'è la frustrata ex agente dell'MI5 Eve; sposata a un santo, licenziata da un lavoro d'ufficio, ingaggiata da Carolyn Martens (Fiona Shaw) per risolvere, lontano dagli occhi indiscreti dell'agenzia, una serie di delitti più o meno politici che vanno costellando tutta l'Europa.

Sin dai primi tre episodi, Killing Eve sembra metterci in guardia: nessuno è al sicuro di fronte alle incredibili capacità atletiche, mimetiche e tattiche di Villanelle, addestrata a cavarsela in pressoché qualsiasi situazione e a portare a casa i cruenti compiti assegnatile dai Dodici nella figura di Konstantin (Kim Bodnia, che piacere rivederlo a qualche anno dalle prime due stagioni di The Bridge) che, con tenerezza paterna adombrata talvolta di romanticismo, tenta di rimettere in riga l'indomabile killer. Le morti si susseguono, annichilite dall'onda in piena del talento omicida di Villanelle, e l'ammirazione del pubblico per l'abilità della fanciulla va di pari passo col desiderio che, in un modo o nell'altro, l'eroica (?) Eve riesca a incastrarla una volta per tutte.

È difficile non restare imbrigliati nell'intrico prospettato dalle prime puntate di Killing Eve, che articola il gioco di gatto e topo delle due protagoniste attraverso un itinerario che garantisce una continua varietà di scenari alla serie; in parallelo, la trama presenta all'occhio dello spettatore un ricambio di personaggi senza soluzione di continuità. Per uno che esca - macabramente - di scena, un altro ne entrerà ben presto, per poi uscirne presumibilmente secondo le medesime modalità omicide.

Risiede però proprio in questo il difetto fatale di Killing Eve: pur mostrando i propri punti di forza sin dal primo episodio e costellando il proprio frenetico corso di crimini alleggeriti dal black humour britannico, la serie non sboccia mai davvero. I suoi meccanismi, benché esilaranti, divengono ben presto ripetitivi. La sua scia di sangue sempre più affollata finisce per non sorprendere lo spettatore che, in un inesorabile processo di atrofizzazione, assiste alla successione dei delitti perpetrati da Villanelle con un sorriso e la compassata indifferenza di chi può ormai prevedere le mosse della protagonista.

Killing Eve

Puntando a stupire il pubblico a suon di decessi bizzarri, lo show tratto dalle opere di Luke Jennings adattate da Phoebe Waller-Bridge (Fleabag) cade vittima del proprio stesso anticonformismo: la sua imprevedibilità diviene paradossalmente prevedibile, i suoi colpi di scena perfettamente inquadrati in un gioco le cui regole vengono spiegate per filo e per segno nella prima metà di stagione. Abituiamo in fretta la mente al fatto che chiunque necessiti di "protezione" da parte di Eve e della sua squadra cadrà inesorabilmente vittima del grilletto, del pugnale o di qualsiasi altra arma mossa dalla mano di Villanelle.

Inoltre, al contrario di illustri serie che, ben prima di lei, hanno percorso l'accattivante percorso della pericolosa chimica tra criminale e paladino della legge, Killing Eve sembra volerci convincere sin da subito dell'attrazione reciproca tra le due protagoniste senza neppure darci il tempo di maturare un'ipotesi in merito. È, anzitutto, una fascinazione raccontata attraverso le allusive battute dei comprimari: se riusciamo a intuire come Eve identifichi in Villanelle l'emblema di una vitalità furiosa e dirompente, lontano dai vincoli sociali in cui l'agente è sempre stata ingabbiata, nessun valido indizio ci viene dato in merito alle ragioni della passione del sicario nei confronti della sua cacciatrice.

L'impostazione è dogmatica: Villanelle ed Eve non possono non piacersi, poco importa dell'iter psicologico che porterà entrambe all'ambiguo incontro-scontro del finale di stagione. Non basta però una confessione masturbatoria a conferire profondità e verosimiglianza all'attrazione tra due donne che sembrano doversi piacere per dovere di trama o per modaiolo queerbaiting; fortunatamente per Killing Eve, il rinnovo per una seconda stagione potrà forse chiarire la dinamica sentimentale tra i due personaggi senza farla ricadere in schematismi tanto prudenti quanto usurati.

Il mondo sembra essersi innamorato di questa serie argutamente agile e, a fronte di questo entusiasmo pressoché incontrastato, occorre fare un passo indietro e ammettere come i difetti sopra elencati perdano d'importanza dinnanzi all'ammiccante potere dell'ironia; perché è proprio nel suo tono perennemente scanzonato che Killing Eve trova la propria linfa vitale migliore, in grado di garantirle un'ottima tenuta nel corso di otto episodi le cui dinamiche interne risultano, come detto, tanto ripetitive da farla assomigliare quasi a un procedurale.

A dispetto di quanto si potrebbe supporre, i meriti maggiori delle piccole ma necessarie variazioni intrinseche alla trama sono da ascrivere non tanto alla folle ma granitica Villanelle - il cui dionisiaco approccio alla vita sfocia sempre nei medesimi risultati - ma alla goffa, insicura Eve, ovvio richiamo empatico per lo spettatore. Nelle sue umanissime incoerenze riconosciamo noi stessi, rimproveriamo i suoi errori di valutazione pur consci che non sapremmo fare nulla di meglio; gioiamo, infine, dei suoi effimeri trionfi contro un nemico che sembra invincibile.

Sarà interessante vedere che direzione prenderà la serie nel prossimo arco di episodi; a oggi, non possiamo che decretare la riuscita di un progetto che, con una certa audacia, sembra aver sottomesso il "cosa" al "come", ripetendo eventi e situazioni in un ritmatissimo canone di rara godibilità.

Killing Eve

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