Killing Eve 4x08, "Hello, losers" (finale di serie): la recensione

Killing Eve si conclude con un episodio tragicamente fiacco, corona di una stagione priva dei pregi che avevano caratterizzato la serie

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Spoiler Alert
È certamente compito arduo dare degna conclusione a un racconto seriale. In ballo, c’è il carico di aspettative maturate negli anni, attraverso un complesso percorso di approfondimento e sedimentazione emotiva. È bene tenere a mente questa premessa, nell’approcciarsi all’analisi di qualsivoglia finale di serie. È bene tenerlo a mente anche di fronte a un guazzabuglio terrificante come Hello, losers, fiacco sigillo di quella che un tempo fu una grande, brillante serie. Non che l’intera quarta stagione di Killing Eve (qui la scheda della serie) non ci avesse fatto intuire a quale cocente delusione stavamo andando incontro; siamo quindi arrivati preparati dinnanzi al capitolo finale di questa tragicomica avventura.

Eppure, la maledetta speranza non ci ha abbandonati fino all’ultimo; abbiamo voluto credere che, contro ogni previsione, Killing Eve potesse recuperare almeno parte della magia che aveva contraddistinto le sue prime due stagioni. Un errore d’ingenuità punito da quello che potremmo paragonare al ridicolo peto plastico di un palloncino che si sgonfia. Nulla è rimasto della sagacia degli esordi, né dell’attenta concatenazione di eventi che erano sempre diretta conseguenza di un coerente meccanismo psicologico. Nulla, inoltre, è rimasto della capacità di erigere climax emotive che lascino lo spettatore col fiato sospeso fino all’ultima inquadratura. Probabilmente, se fosse rimasta in mano all'originale showrunner Phoebe Waller-Bridge, Killing Eve ci avrebbe risparmiato qualche sbavatura dovuta ai troppi passaggi di testimone; ma non ha senso cullarsi nel mondo ideale delle ipotesi, e occorre quindi ragionare su ciò che abbiamo effettivamente di fronte.

Un ridicolo contentino

Guardando Hello, losers sembra quasi d’esser davanti a un episodio filler di una stagione di passaggio, non certo al coronamento narrativo e sentimentale di una storia durata quattro anni. Assistiamo, è vero, al coronamento-lampo della sotterranea passione tra Villanelle (Jodie Comer) ed Eve (Sandra Oh); dovrebbe bastar questo a soddisfare il pubblico che per anni ha atteso la risoluzione della tensione tra le due protagoniste? Certo che no. È anzi con profondo scorno che ci troviamo davanti a un idillio spiazzante, con contorni di normalità forzatamente inseriti in una relazione che, di normale, non può più avere nulla.

Ci sarebbe piaciuto moltissimo che la serie si concentrasse sulle implicazioni psicologiche, per Eve, di un rapporto romantico con Villanelle. Se la routine del temibile sicario non è stata sconvolta più di tanto, facendola passare da un orizzonte di violenza a un altro, per l’ex agente il discorso è molto diverso. Accettare i propri sentimenti per Villanelle equivale ad accettare un lato oscuro di sé che, duole dirlo, è stato esplorato rozzamente e superficialmente dalla serie. In Hello, losers ci viene presentata una tenera cartolina di fidanzamento, in cui le due donne scoprono una perfetta sintonia sulle piccole cose; sintonia che, però, non può in alcun modo cancellare il male che Villanelle ha fatto ad Eve e alle persone a lei care.

Ma Killing Eve non se ne preoccupa; concentrata com’è a portare a termine un percorso ormai diventato successione di inciampi, propina allo spettatore una sequela di situazioni da rom-com del tutto incoerenti con quanto ha seminato per quattro anni. Il bacio sulla guancia che Villanelle dà alla sua amata non può non intenerirci; avremmo però voluto assaporare questa dolcezza come un premio a lungo atteso, frutto di una battaglia interiore da parte di Eve nell’accettare di provare attrazione per colei che ha, mattone dopo mattone, rovinato la sua intera vita. Avremmo voluto, inoltre, seguire da vicino Eve nell’esplorazione della propria vena più violenta e ferina; è squallido pensare che tale vena abbia trovato unica esemplificazione in gesti sconnessi e incoerenti come l’omicidio di Lars.

Killing Eve

Apoteosi del nonsense

Come se non bastasse l’insoddisfazione per com’è stata gestita la romance centrale, Killing Eve conclude la sua linea narrativa più strettamente legata allo spionaggio con una resa dei conti priva, letteralmente, di ogni identità. Lo scontro finale tra Villanelle e i Dodici ha il sapore di una beffa e arriva a conferma del pessimo utilizzo di questa misteriosa organizzazione all’interno della trama della serie. Gli ultimi episodi hanno reso fin troppo chiaro quanta confusione avessero gli autori sulla funzione ultima dei Dodici in Killing Eve. Restano dunque senza volto i nemici che hanno funestato le vite dei protagonisti; senza volto e senza caratterizzazione, falciati caoticamente dalla mano di un'assassina nota da cui sembra ridicolo che non si siano quasi minimamente protetti.

Sembra altrettanto ridicolo che Carolyn (Fiona Shaw) possa rientrare a far parte dell’MI6 recando in sacrificio la testa di Villanelle; riaccogliere tra le proprie schiere una recente collaboratrice dei russi appare l’ennesima forzatura di una trama ormai del tutto fuori rotta. Allo stesso modo, stupisce come Carolyn abbia archiviato, nel giro di un paio di episodi, la comprensibile necessità di scoprire l’identità dell’assassino di Kenny. Le ragioni di tale archiviazione restano avvolte nell’ombra, come anche le intenzioni dietro il tentato ingaggio di Pam (Anjana Vasan). Lungi dall’essere un killer perfettamente addestrato a ogni eventualità, la sua utilità al servizio di Carolyn è qualcosa che la serie non ci consente di valutare. Pam si allontana verso un futuro incerto, mentre un ignoto sicario mette fine ai giorni di Villanelle all'indomani del coronamento del suo sogno d'amore.

Un senso

Proprio come Villanelle, anche Killing Eve sprofonda in un abisso cupo e senza ritorno. A dispetto del titolo, nessuno ha ucciso Eve; la vera vittima di questo dramma è la serie stessa, rimasta schiacciata dall’autocompiacimento e bloccata in un’ ingloriosa stasi che l’ha vista incapace di rinnovarsi. Più volte ne abbiamo criticato il manierismo cementatosi nel corso delle ultime due stagioni, mantenendo però sempre la speranza che il finale chiudesse, se non con coerenza, almeno con emozione quest'odissea criminale. Osservando quelle ultime inquadrature, con Eve che riemerge dalle scure acque del Tamigi scoppiando in un grido di lacerante disperazione, tale antica speranza ci appare ingenua come il sogno di un bambino.

È inevitabile, di fronte a questo epilogo, domandarsi cosa Killing Eve abbia significato - anzi, cosa abbia scelto di significare - per il suo pubblico. Avrebbe potuto essere un racconto di formazione e metamorfosi, riflessione sul potere salvifico o distruttivo dell'amore. Avrebbe potuto, ancora, essere un cinico ritratto delle gerarchie del potere nascosto, visto attraverso lo sguardo di pedine ribelli come le due protagoniste. Oppure, avrebbe potuto rappresentare l'eterno scontro tra apollineo e dionisiaco, tra tranquillità e incertezza, tra immobilismo e capacità di evolvere. Invece, davanti ai nostri occhi rimane una (non sempre) briosa parabola iniziata tra le scartoffie di un ufficio e conclusasi in un mare di sangue e brutalità.

Forse è giusto così, forse davvero non serve lambiccarsi il cervello alla ricerca di un senso "altro"; avendoci tolto qualsiasi appiglio filosofico, avremmo almeno voluto una conclusione potente e limpida per questa storia; invece, non ci resta che lo squallido cadavere di un palloncino sgonfiatosi troppo lentamente.

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