Killers Of The Flower Moon, la recensione

Ci vuole metà di Killers Of The Flower Moon perché sia un film di Scorsese e quando accade capiamo tutto, la tecnica al servizio della storia

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione di Killers Of The Flower Moon, il film di Martin Scorsese presentato al festival di Cannes

Questo non è il West dei singoli la cui morale si contrappone alle comunità e ai fuorilegge, questo è il West dei gruppi, contrapposti tra loro anche se fingono di non esserlo. Non c’è da aspettarsi per nulla questioni di sparatorie e decisioni difficili da prendere a cavallo al tramonto, c’è semmai da aspettarsi l’assenza più totale della legge (per averla bisogna andare fino a Washington e pregare qualcuno di mandarla) e quindi il trionfo delle regole tribali e della violenza privata. 

Accade quando nella nazione degli indiani Osage si scopre il petrolio. Di colpo in quella zona si materializza la più grande ricchezza pro capite del mondo e una comunità di indiani è più ricca dei bianchi. Questi prontamente arrivano e noi con loro, seguendo Leonardo DiCaprio, giunto lì chiamato dallo zio (Robert De Niro), uomo abbiente che aiuta da molto tempo questi indiani ricchi con i loro affari e la loro nuova ricchezza. Sa la loro lingua, conosce le famiglie, entra nelle loro case, finanzia le loro cause, costruisce le strade per il loro villaggio, gli risolve i problemi. Ora il suo nipote lavorerà con lui al loro servizio.

Killers Of The Flower Moon è un’epopea che dura almeno un decennio, lungo la quale molto cambia. È ovviamente un racconto di vessazione degli indiani da parte dell’uomo bianco che in questa storia coincide perfettamente con lo sfruttamento degli uomini sulle donne. Accanto a DiCaprio e De Niro c’è infatti Lily Gladstone con un personaggio eccezionale, al tempo stesso grande e remissivo, una donna non bella di per sé ma bella per il fascino che emana. Il film non ha mai bisogno di dirci o farci vedere che è più intelligente degli altri, Scorsese sa farlo con il casting e facendo recitare Lily Gladstone in un certo modo. Lo stesso modo in cui (al contrario) ci fa capire che il personaggio di Leonardo DiCaprio è invece un po’ scemo e ancora lo stesso in cui invece la sua bellezza col tempo capiamo essere importante per l’intreccio.

Tuttavia la parte migliore di questo film di Martin Scorsese è il fatto che non parta come un film di Martin Scorsese. Non ne ha da subito il look e la scansione per immagini, è come se celasse la sua identità. Come un bambino cresciuto tra di loro (ma anche come Leonardo DiCaprio) che ad un certo punto matura la consapevolezza di come stiano realmente le cose dietro le apparenze, e ad esempio quale sia il rapporto di forza tra Robert De Niro e la comunità, anche il pubblico parte ignaro e arriva con il tempo a maturare uno sguardo giusto. Ci vorrà almeno metà della durata perché il pubblico riconosca in alcuni personaggi le figure tipiche del cinema scorsesiano, proprio quando tutto comincia a prendere la lingua filmica del suo autore. È come se per lui certi personaggi fossero figli di un certo modo di confezionare il film e non nascessero dalla penna ma dalla fotografia, dal montaggio, dalla colonna sonora. Occorre quindi che con il passare del tempo operiamo un cambio di sguardo. La tecnica al servizio dello sguardo. Lo sguardo come modo di comprendere il mondo.

È un trionfo di tutti i comparti che parte dalla scrittura ma si misura sulla messa in scena e sulla recitazione. Leonardo DiCaprio fa un lavoro onesto con un ruolo che non interpreta mai, mentre Robert De Niro da subito (dalla prima scena!) è eccezionale come nei momenti migliori della sua carriera.

Alla fine non ci saranno dubbi sul fatto che Killers Of The Flower Moon sia un film che Martin Scorsese ha già fatto. Più volte e anche meglio di così. Ma lo stesso è anche una gran storia (tratta dall’omonimo romanzo di David Grann), messa in scena senza il suo tipico passo elettrico. Il buono di questo film è proprio il tatto con cui incede. Non c’è il montaggio brutale ma anzi una quiete apprezzabile che serve alla grande storia, una che non viene dalla lentezza (il film ha un passo controllato ma non è mai lento) quanto da una mano ferma e salda che gestisce i tempi bene. Il segreto di Pulcinella dei grandi racconti.

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