Ken Parker vol. 50: Fin dove arriva il mattino, la recensione
Abbiamo recensito per voi Ken Parker: Fin dove arriva il mattino, volume finale della saga di Lungo Fucile
Classe 1971, ha iniziato a guardare i fumetti prima di leggerli. Ora è un lettore onnivoro anche se predilige fumetto italiano e manga. Scrive in terza persona non per arroganza ma sembrare serio.
Sono trascorsi 17 anni dall'ultima storia inedita, Faccia di Rame, e 38 dall'esordio nel 1977 con Sergio Bonelli Editore, allora Cepim. Ne ha fatta di strada Lungo Fucile, Fin dove arriva il mattino, il 50° e ultimo capitolo della collana Ken Parker, con cui la Mondadori Comics ha riproposto l'intera produzione di Giancarlo Berardi e Ivo Milazzo.
I ricordi del penitenziario e dei detenuti con cui familiarizzò continuano ad accompagnare e angustiare Ken, come in Un soffio di libertà (Ken Parker 41), I condannati (numero 44) e il breve Canto di Natale del 2013, raccolto nel volume precedente. Qui è il tentativo di fuga del giovane Lyle a intrecciarsi con il presente, accavallando un piano temporale sull'altro.
"La galera cambia gli uomini. Li rende fragili e spietati allo stesso tempo" le confessa nel racconto e con essa si stringe subito un legame speciale. Lontano dai suoi affetti e dalla sua terra, la vedova sembra l'unico conforto. Il nostro antieroe ha perduto l'energia e lo spirito che lo hanno sempre distinto ma non i suoi principi e suoi ideali. In nome di questi scrive l'epilogo della propria avventura che nella sequenza finale ripercorre la scena che gli costò i lavori forzati.
Il cacciatore di pelli partito dal Montana per punire l'assassino del fratello, ha percorso in lungo e in largo il continente nordamericano, perseguendo la sua vendetta e quella di altri, raddrizzando torti e assistendo impotente a enormi ingiustizie, braccando e venendo braccato. I suoi autori gli concedono in questo volume il giusto riposo. Nel lungo cammino editoriale sono cresciuti e maturati anche loro, oggi maestri riconosciuti del panorama non solo italiano.
Il western e il loro trapper sono stati l'occasione per parlare del bene e del male, del brutto e del buono della civiltà che incarniamo, con il suo inimitabile risvolto malinconico, talvolta amaro, nella denuncia di abusi e prepotenze antiche o tremendamente attuali.
Ma dimenticate o, se vi avvicinate per la prima volta a Ken Parker, infischiatevene della sua continuity, del suo glorioso passato. Potrete o dovreste recuperarlo con calma, poi. Ora godetevi la splendida sceneggiatura di Berardi che dà anima alle vignette come a un film di carta. Assaporate la poesia di Milazzo che trasforma una tavola in bianco e nero in un acquarello con infinite tonalità di grigio. Quanto ci mancherà Ken Parker...