Kati Kati, la recensione
La nostra recensione di Kati Kati, film diretto da Mbithi Masya presentato al Trieste + Science Fiction Festival
Lo scrittore e artista Mbithi Masya compie il suo esordio alla regia con il suggestivo Kati Kati, film di cui è anche co-sceneggiatore insieme a Mugambi Nthiga.
La protagonista è Keleche (Nyokabi Gethaiga): una giovane senza memoria che si ritrova improvvisamente al Kati Kati, una specie di villaggio turistico immerso nella natura da cui è però impossibile allontanarsi. La realtà è che il luogo è come un purgatorio dove i morti trascorrono il loro tempo guidati da Thoma (Elsaphan Njora). Quello che all'apparenza potrebbe sembrare quasi il paradiso inizia però a mostrare il proprio lato oscuro quando Mikey (Paul Ogola), il più giovane degli abitanti, cerca di togliersi ancora una volta la vita. Kaleche scopre così che non tutti sono destinati a trascorrere la propria vita dopo la morte al Kati Kati e ci sono dei segreti che alcune persone vorrebbero non emergessero mai.
Il film di Masya non affronta mai realmente le regole che definiscono l'universo in cui si muovono e agiscono i protagonisti, preferendo concentrarsi sul percorso emotivo compiuto da alcuni di loro e sull'idea che sia possibile, in questa particolare forma di aldilà, fare i conti con gli errori compiuti in passato, cercando così di trovare finalmente la propria pace interiore. Kati Kati riesce solo in parte a ottenere l'effetto sperato a causa di alcuni passaggi narrativi non sviluppati con attenzione o introdotti senza poi essere approfonditi, rendendo inoltre poco comprensibili le dinamiche esistenti tra i vari membri della comunità.
Visivamente affascinante, il lungometraggio sfrutta inoltre adeguatamente una fotografia curata con attenzione da Andrew “Dru” Mungai per creare i giusti contrasti cromatici e la buona interpretazione di Nyokabi Gethaiga che riesce a rendere convincente il percorso emotivo compiuto da Kaleche partendo dal senso di spaesamento alla consapevolezza. Non tutto il cast, tuttavia, riesce a sostenere il peso della complessità che contraddistingue il proprio personaggio, risultando a tratti poco naturale.
Kati Kati appare come una promettente opera prima in cui i confini della realtà appaiono molto sfumati e indefiniti, proponendo così una storia che, seppur abbia un ritmo fin troppo cadenzato, riesce a non far perdere l'interesse e a far riflettere sul valore catartico della condivisione della verità.