Kai, l'autostoppista con l'accetta, la recensione 

La nostra recensione del documentario Kai, l'autostoppista con l'accetta, su Netflix dal 10 gennaio. Diretto da Colette Camden

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La recensione di Kai, l’autostoppista con l’accetta, su Netflix dal 10 gennaio

Nel febbraio del 2013 in California un autista bianco in stato delirante (diceva di essere Gesù) investe un operaio nero per poi aggredire due signore che erano venute in suo soccorso. Oltre a qualche ferita e un po’ di spavento ne escono tutti incolumi: l’”eroe del giorno”, Kai, un ragazzo senzatetto, ha infatti fermato l’uomo dallo strangolare le due donne grazie a… dei colpi di accetta.

Da quel momento Kai, ripreso in un video poi diventato virale su internet, si trasforma in una celebrità mediatica: Kai, l’autostoppista con l’accetta di Colette Camden ripercorre l’iter mediatico a cui il ragazzo viene sottoposto. Tra interviste alle persone coinvolte nella faccenda, filmati d’archivio e qualche scena ricostruita, il documentario si presenta come né più né meno di un classico format true crime: sì, perché la svolta (im)prevista è che Kai, qualche mese dopo, verrà accusato di omicidio.

Il documentario parte quindi dalla fine - Colette Camden decide di svelarlo subito - e punta ad intrattenere mostrandoci il dispiegamento degli eventi che porteranno a quel punto, in una prigione del New Jersey. 

Non si capisce bene quanto l’effetto sia voluto, eppure la cosa che colpisce di più del documentario è la scarsa capacità analitica (per non dire stupidità…) dei giornalisti/produttori televisivi coinvolti in questa storia. Forse la dinamica iniziale non è raccontata bene come dovrebbe: per chi guarda pare subito evidente che una persona che usa un'accetta contro un’altra non sia proprio sana di mente. Nonostante ciò sembra che nessuno ci faccia attenzione quanto dovrebbe, e così per il ragazzo fioccano proposte di lavoro, inviti ad ospitate televisive, persino l’idea di un reality con la produttrice di Keeping Up with the Kardashians. Il fatto stesso che ci rimanga il dubbio sull’intenzione della documentarista rispetto a questo turbinio di eventi, in sé, già la prova di una volontà di dire qualcosa senza però riuscirci.

Peccato, perché proprio l’elemento di assurdità e di ipocrisia del sistema mediatico americano sarebbe potuto essere la vera chiave di lettura di tutta la vicenda. Gli elementi c’erano: una storia tipicamente americana di un “Mr. Nobody” che per un gesto altruista diventa una star (i programmi di news/intrattenimento americani, diversamente da quelli europei, sono specializzati in questo tipo di contenuti), la velocità con cui diventa famoso, il contrasto tra ideale americano del “farcela” e questo personaggio che invece sembra rifiutare ogni tipo di convenzione. Colette Camden invece non fa altro che mettere gli eventi in fila (che sono comunque interessanti, e "salvano" la visione) fino alla degenerazione finale, senza riuscire a trarre da ciò che si è visto un vero punto di vista, e, di conseguenza, senza farci riflettere su ciò che abbiamo visto.

Siete d’accordo con la nostra recensione di Kai, l'autostoppista con l'accetta? Scrivetelo nei commenti!

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