Kai, l'autostoppista con l'accetta, la recensione 
La nostra recensione del documentario Kai, l'autostoppista con l'accetta, su Netflix dal 10 gennaio. Diretto da Colette Camden
La recensione di Kai, l’autostoppista con l’accetta, su Netflix dal 10 gennaio
Da quel momento Kai, ripreso in un video poi diventato virale su internet, si trasforma in una celebrità mediatica: Kai, l’autostoppista con l’accetta di Colette Camden ripercorre l’iter mediatico a cui il ragazzo viene sottoposto. Tra interviste alle persone coinvolte nella faccenda, filmati d’archivio e qualche scena ricostruita, il documentario si presenta come né più né meno di un classico format true crime: sì, perché la svolta (im)prevista è che Kai, qualche mese dopo, verrà accusato di omicidio.
Non si capisce bene quanto l’effetto sia voluto, eppure la cosa che colpisce di più del documentario è la scarsa capacità analitica (per non dire stupidità…) dei giornalisti/produttori televisivi coinvolti in questa storia. Forse la dinamica iniziale non è raccontata bene come dovrebbe: per chi guarda pare subito evidente che una persona che usa un'accetta contro un’altra non sia proprio sana di mente. Nonostante ciò sembra che nessuno ci faccia attenzione quanto dovrebbe, e così per il ragazzo fioccano proposte di lavoro, inviti ad ospitate televisive, persino l’idea di un reality con la produttrice di Keeping Up with the Kardashians. Il fatto stesso che ci rimanga il dubbio sull’intenzione della documentarista rispetto a questo turbinio di eventi, in sé, già la prova di una volontà di dire qualcosa senza però riuscirci.
Peccato, perché proprio l’elemento di assurdità e di ipocrisia del sistema mediatico americano sarebbe potuto essere la vera chiave di lettura di tutta la vicenda. Gli elementi c’erano: una storia tipicamente americana di un “Mr. Nobody” che per un gesto altruista diventa una star (i programmi di news/intrattenimento americani, diversamente da quelli europei, sono specializzati in questo tipo di contenuti), la velocità con cui diventa famoso, il contrasto tra ideale americano del “farcela” e questo personaggio che invece sembra rifiutare ogni tipo di convenzione. Colette Camden invece non fa altro che mettere gli eventi in fila (che sono comunque interessanti, e "salvano" la visione) fino alla degenerazione finale, senza riuscire a trarre da ciò che si è visto un vero punto di vista, e, di conseguenza, senza farci riflettere su ciò che abbiamo visto.
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