Justice League, la recensione
Dopo un inizio originale e lontano da quello che fanno gli altri film di supereroi, Justice League si conforma senza mai riuscire ad amalgamare epica a sentimento
Se Justice League ha un problema (e lo ha) è proprio questo: la maniera in cui unisce lo stile Whedon a quello Snyder, il mondo dell’ironia e della delicatezza con quello dell’epica.
Se Justice League ha un problema (e lo ha) è proprio questo: la maniera in cui unisce lo stile Whedon a quello SnyderDopo un inizio fantastico, molto in sottotono, minimale e antiepico Justice League imbastisce una trama abbastanza tipica con un oggetto magico conteso tra due parti, gli eroi che riluttanti si uniscono e l’unione che alla fine (...spoiler) farà la forza. Troppo presto scompare una delle componenti più interessanti di quest’universo, quel senso di speranza evocato da Superman in un vecchio video girato con lo smartphone che vediamo all’inizio, la componente essenziale nella visione cinematografica di quegli eroi già dal Batman di Nolan, il fine ultimo dell’eroismo: influire sulla mentalità delle persone, essere un esempio da imitare oppure essere un esempio da temere spaventando, avere un preciso dovere etico e quindi indirettamente politico. Sarà anche un cruccio per Wonder Woman, finalmente.
Molto più sottotono invece Jason Momoa, cowboy del mare, eroe riluttante dal character design fantastico (incredibile idea quella dei tatuaggi che gli fanno un corpo da pesce) e dall’immaginario perfetto (di lui Snyder ha capito tutto: il mare del nord, le onde in tempesta, l’ingresso e l’uscita dall’acqua con i White Stripes) ma dalla coolness troppo scontata, o Ezra Miller la cui anti-coolness è altrettanto prevedibile, quasi quanto il suo regolare contrappunto simpatico, il suo dover alleggerire ogni situazione. Ed è imperdonabile come sul suo personaggio Justice League perda la possibilità di raccontare l’emergere di una coscienza eroica. Cyborg semplicemente non pervenuto.
Perché alla fine Justice League è proprio questo che non riesce a fare: non riesce mai a manipolare i sentimenti. Centra l’epica quando serve ma non sa mettere in scena i sentimenti elementari, quelli che nel cinema di supereroi sono i blocchi di pietra giganti da scolpire con precisione fino a ricavare piccole figure significative. Invece questo film dall'immaginario e dalle premesse ben più originali, serie e cinematografiche dei corrispettivi Marvel, è così poco raffinato, così grossolano e maldestro da pretendere di trattare le motivazioni individuali come palazzi da abbattere. E così finisce per soffrire ogni cambio di tono, ogni passaggio dall’azione alla risata, dal drammatico al sentimentale, dal romantico al divertente. Esattamente quello che Avengers centrava in pieno.