Justice League, la recensione

Dopo un inizio originale e lontano da quello che fanno gli altri film di supereroi, Justice League si conforma senza mai riuscire ad amalgamare epica a sentimento

Critico e giornalista cinematografico


Condividi
C’è una grande scommessa dietro Justice League, quella di unire il mondo della scrittura emotiva di Joss Whedon con quello della messa in scena epica di Zack Snyder; uno sceneggiatore che eccelle nelle piccole interazioni, nei sentimenti particolari, intimi e unici, in una parola “nell’umanità”, con un regista che è maestro del titanico e del mastodontico che ha fatto dei supereroi degli dèi inumani e per questo incredibili. Con tutte le difficoltà che la lavorazione ha comportato questa scommessa può dirsi ora ufficialmente fallita.

Se Justice League ha un problema (e lo ha) è proprio questo: la maniera in cui unisce lo stile Whedon a quello Snyder, il mondo dell’ironia e della delicatezza con quello dell’epica.

La storia ricalca molto quella di Avengers, con in più l’ingombrante fardello della morte di Superman evocata subito con un ritaglio di giornale in una scena iniziale che, come spesso accade a Snyder, è grandiosa nel non volerlo essere. Là, in un piccolo momento di puro Batman, Snyder dimostra di aver capito più di tutti quel personaggio e nel corso del film anche Bruce Wayne saprà stare all’altezza del suo alter ego. Invecchiato, con 20 anni di attività sulle spalle, incredibilmente meno potente degli altri eppure dotato di una testa dura e una volontà di ferro, è l'unico che ha un senso vero. Così debole eppure così mitico, così affidabile e così impotente. Però se molti sono i punti di contatto tra il film che univa gli eroi Marvel e quello che unisce gli eroi DC, rimangono poco in evidenza le differenze tra i due modi di approcciare una materia simile.

Se Justice League ha un problema (e lo ha) è proprio questo: la maniera in cui unisce lo stile Whedon a quello SnyderDopo un inizio fantastico, molto in sottotono, minimale e antiepico Justice League imbastisce una trama abbastanza tipica con un oggetto magico conteso tra due parti, gli eroi che riluttanti si uniscono e l’unione che alla fine (...spoiler) farà la forza. Troppo presto scompare una delle componenti più interessanti di quest’universo, quel senso di speranza evocato da Superman in un vecchio video girato con lo smartphone che vediamo all’inizio, la componente essenziale nella visione cinematografica di quegli eroi già dal Batman di Nolan, il fine ultimo dell’eroismo: influire sulla mentalità delle persone, essere un esempio da imitare oppure essere un esempio da temere spaventando, avere un preciso dovere etico e quindi indirettamente politico. Sarà anche un cruccio per Wonder Woman, finalmente.

È di nuovo lei infatti a costituire uno degli elementi più originali e interessanti del film. L’unico personaggio dotato di un proprio tema musicale riconoscibile che accompagna il suo ingresso in scena, l’unica donna in film simili a costituire la parte “potente” del gruppo, quella che può cambiare le sorti di un confronto fisico e che tutti temono senza che vada in deroga alla femminilità, l’unica che sembra potere tutto (a parte l’eroe defunto, s’intende). Gal Gadot è di nuovo impeccabile e dà nuovamente l’idea di poter incarnare senza fatica quest’idea di distanza e superiorità, anche quando è in abiti civili. Al contrario di quel che accadeva con Cavill con lei non si fatica mai a credere che possa essere chi interpreta.

Molto più sottotono invece Jason Momoa, cowboy del mare, eroe riluttante dal character design fantastico (incredibile idea quella dei tatuaggi che gli fanno un corpo da pesce) e dall’immaginario perfetto (di lui Snyder ha capito tutto: il mare del nord, le onde in tempesta, l’ingresso e l’uscita dall’acqua con i White Stripes) ma dalla coolness troppo scontata, o Ezra Miller la cui anti-coolness è altrettanto prevedibile, quasi quanto il suo regolare contrappunto simpatico, il suo dover alleggerire ogni situazione. Ed è imperdonabile come sul suo personaggio Justice League perda la possibilità di raccontare l’emergere di una coscienza eroica. Cyborg semplicemente non pervenuto.

Perché alla fine Justice League è proprio questo che non riesce a fare: non riesce mai a manipolare i sentimenti. Centra l’epica quando serve ma non sa mettere in scena i sentimenti elementari, quelli che nel cinema di supereroi sono i blocchi di pietra giganti da scolpire con precisione fino a ricavare piccole figure significative. Invece questo film dall'immaginario e dalle premesse ben più originali, serie e cinematografiche dei corrispettivi Marvel, è così poco raffinato, così grossolano e maldestro da pretendere di trattare le motivazioni individuali come palazzi da abbattere. E così finisce per soffrire ogni cambio di tono, ogni passaggio dall’azione alla risata, dal drammatico al sentimentale, dal romantico al divertente. Esattamente quello che Avengers centrava in pieno.

Continua a leggere su BadTaste