Jurassic World: Il Regno Distrutto, la recensione
Il nuovo modello di cinema per tutto il mondo in Jurassic World: Il Regno Distrutto viene affinato come si deve
Sicuramente l’arrivo di Bayona alla regia al posto di Trevorrow (che rimane come sceneggiatore assieme al fidato Derek Connolly in un team molto più asciutto di prima) ha aiutato tantissimo. Reduce dal terribile Sette Minuti Dopo Mezzanotte qui Bayona torna sul suo terreno migliore e si concede di scimmiottare Steven Spielberg, riuscendo anche parzialmente nell’operazione. Movimenti di macchina rivelatori, montaggio interno ed establishing shot sono presi dal campionario del regista di Indiana Jones e curiosamente fanno somigliare questo film a quelli dell’archeologo più che a Jurassic Park. Ma anche la narrazione degli eventi è molto più asciutta e stringata, Il Regno Distrutto è un film che sa come non perdere tempo e cosa considerare essenziale.
Certo rimane un blockbuster tarato sul minimo comun denominatore, bassissimo negli intenti, elementare nei personaggi e infantile nei rapporti tra esseri umani (più che recitare agli attori chiede di avere carisma non ottenendone troppo), ma almeno è impeccabile nella resa! Inoltre, come a voler essere la quintessenza del film per tutto il pianeta, Jurassic World: Il Regno Distrutto si rifiuta di parlare di qualsiasi tema attuale per affrontare le sfide dell’umanità riguardo se stessa e il proprio futuro, affermandosi come un’opera che scavalca contingenze nazionali e culturali per raccontare questioni proprie della razza umana. Ci riesce, anche se ovviamente con la dovuta superficialità e l’obbligatorio manicheismo.
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