Jupiter - Il destino dell'universo, la recensione

Nelle ambizioni di Jupiter c'è l'idea di creare un grande franchise originale, per farlo i Wachowski hanno pescato nel cinema degli anni '80 e nella favola classica

Critico e giornalista cinematografico


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Dietro a Jupiter c'è la voglia di creare un franchise originale. È così che il progetto è arrivato ai fratelli Wachowski, chiedendogli per favore di creare qualcosa di nuovo e inedito, che non fosse un adattamento nè un remake nè un sequel (ma con lo scopo di farne dei sequel). Lana e Andrew Wachowski hanno allora scavato nel loro immaginario, hanno pescato abbondantemente dalle storie e dalle mitologie cantate dal cinema degli anni '80, tirando fuori un'avventura romantica d'altri tempi, un po' lontana da quello che il cinema racconta oggi ma innegabilmente godibile.

La storia è quella di una ragazza che pulisce i cessi (letteralmente) figlia di una famiglia immigrata in America che di colpo scopre di essere al centro di una trama intergalattica. Come Labyrinth o Starfighter una persona normale, dalla vita più che ordinaria scopre tutto insieme una nuova realtà e, senza nemmeno cambiarsi, viene trasportata in un altro mondo (o nello spazio) per vivere la grande avventura in cui scoprirà d'essere più di quel che non credeva (come pure avviene in Tron). In questo i Wachowski non si sono risparmiati, il mondo interstellare da loro creato, in cui un'antichissima e nobile famiglia possiede pianeti e galassie da cui estrae linfa vitale (ritorna il tema della razza umana "coltivata"), è pieno di dettagli, di tecnologie inventate, di meccanismi burocratici e ha una mitologia umano-animale tutta sua (addirittura rispolverano i mostri-servitori).

Come i migliori prodotti postmoderni Jupiter somiglia a tutto e non somiglia a niente al tempo stesso. Come in Dune fonde il classismo ottocentesco europeo con la sfrenata fantascienza, crea dei pattini volanti che un po' ricordano lo skate di Ritorno al futuro II e mostra uno sfacciato disimpegno che, unito alla loro abilità narrativa, è piacevolissimo. Di certo non è I guardiani della galassia ma sa farsi amare.

Se però si dovesse individuare un elemento che segna la distanza tra Jupiter e le grandi storie moderne del cinema d'intrattenimento sarebbe la protagonista. Se i Wachowski mettono al centro di tutto una ragazza, come molta narrativa per il cinema contemporanea, lo fanno però con un ruolo che non è lo stesso di Bella, Katniss e le altre. Jupiter è il più classico dei motori immobili, scatena tutti gli eventi in virtù di chi è e non per quello che fa, non è artefice del proprio destino, anzi, è la più classica delle damigelle continuamente salvate dal cavaliere (Channing Tatum). In questo senso il film non parla di lei, non gira intorno ad un suo conflitto interiore o a temi e idee proprie del suo mondo, quanto a quelle del mondo del protagonista maschile (un alieno mezzo uomo mezzo cane che ha lasciato la guardia imperiale ed è diventato mercenario).

Per certi versi è indubbiamente un passo indietro, tuttavia se si guarda al film come ad un elemento dissonante in un fiume in piena di grandi franchise con buoni personaggi femminili, è anche una dissonanza nostalgica e retro che può far piacere.

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