Jungle Cruise, la recensione
Pieno di avventura e capace di centrare benissimo tutto quel che serve per il genere, Jungle Cruise è una delizia
Anche questo film come Pirati dei Caraibi prende l’avvio da un’attrazione dei parchi Disney (cosa che rimane lo spunto più assurdo per un film, eppure…) attorno a cui costruisce una storia, una mitologia e un mondo avventuroso, fatto di maledizioni, cattivi e luoghi esotici, niente che il cinema hollywoodiano non tenti già di fare in altri duemila franchise, solo che la combinazione di Dwayne Johnson, Emily Blunt e Jaume Collet-Serra alla regia crea un’alchimia perfetta, che mentre guarda a Pirati dei Caraibi si ricorda bene come dirige Spielberg.
Con quell’artefatto partirà alla ricerca di una pianta miracolosa sul Rio delle Amazzoni a bordo dell’imbarcazione di un capitano cialtrone ma esperto (la fuga dal porto è un altro pezzo da novanta, su e giù dalla barca tra i tornanti del fiume, capace di comprarsi tutta quella parte di pubblico che ancora non era salita sul treno del film).
Nella seconda parte poi maledizioni che uniscono i personaggi ai luoghi, villain condannati da secoli e poi la Luna che svela qualcosa di magico daranno la spallata alla saga con Johnny Depp. Sono tutte aderenze smaccate che impediscono al film di contaminarsi anche di alto. Verso la fine del viaggio infatti un trucco sbloccherà una nuova area prima non visibile, rubando ai videogiochi come Uncharted il senso di stupore e ricompensa per aver raggiunto un obiettivo e aver ricevuto in cambio un nuovo mondo da esplorare.
Addirittura anche il protagonismo degli interpreti è marginalizzato e messo al servizio del film. Specialmente di Dwayne Johnson è qui usato al meglio e mai portato a mostrare il fisico ma sempre preso in grandi battibecchi con una calzante Emily Blunt (tanto non riusciva ad essere Mary Poppins in quel sequel, quanto qui riesce ad essere una versione eccitata e piena di idee di un’avventuriera).
Il film gira così bene (anche se Emily Blunt è un po’ legnosa nell’azione e non sa nascondere gli aiuti sul set e quelli digitali) che la Disney si permette anche di sconfinare in una visione moderna degli equilibri di genere (c’è un fratello che si comporta come solitamente in questo tipo di film facevano le sorelle e una sorella che si comporta come toccava una volta ai fratelli). E qui, per la prima volta, in un grande film Disney un personaggio afferma apertamente di essere omosessuale. Certo, non arriva a usare proprio il termine “gay”, ma in un dialogo dedicato alla cosa dice che rispetto alle donne il suo interesse “è felicemente altrove”. Il massimo a cui la Disney può arrivare. Oggi.