Jung_E, la recensione

Una storia di fantascienza in cui l'azione è usata per attirare e ingannare, si trova la più banale delle introspezioni psicanalitiche

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione di Jung_E, disponibile su Netflix dal 20 gennaio

Ci vuole molta tolleranza per gli effetti visivi non impeccabili per godersi Jung_E, come del resto ci vuole una buona predisposizione nei confronti dei film che usano l’azione come una scusa, come una copertina per attirare quando in realtà quel che devono dire lo dicono altrove e le scene di confronto, di corsa, di fuga e via dicendo sembra essere stati obbligati a girarle tanto sono separate e ghettizzate. Una tassa da pagare. Così Jung_E si presenta subito come un action futuristico quando in realtà vorrebbe essere un film che elabora una complicata relazione madre figlia indagando i meandri del cervello. Letteralmente.

In un futuro remoto in cui infuriano guerre spaziali interne alla razza umana, una scienziata lavora alla clonazione di una guerriera imbattibile (che però è stata battuta). Il suo cervello è stato preservato e si cerca di farlo funzionare dentro un corpo robotico, con scarso successo. La ricerca della perfezione è attuata lavorando proprio su quel cervello, individuando quali aree sono attivate da cosa e manovrandolo. Il titolo è abbastanza chiaro su quale sia la prospettiva psicanalitica attraverso la quale leggere tutto, e davvero troppo fa il film per forzare quella lettura a fronte di una trama così esigua da reggere a stento i 100 minuti di durata.

Dovrebbero salvare tutto le suddette scene d’azione ma riescono a raggiungere un ragguardevole livello di inutilità. La guerriera non lotta davvero per qualcosa, lotta all’interno di simulazioni in cui viene inserita per testare se sia stata replicata al meglio. Non c’è posta in palio (nell’azione) se non in un finale in grande stile dentro un treno spaziale ad alta velocità che è un gioiello di pessima computer grafica ed ambizioni molto ma molto superiori alle capacità o possibilità.

Yeon Sang-ho già aveva dimostrato con Train To Busan di avere uno scarsissimo riguardo per l'esito di quel che fa e interessarsi più allo spunto narrativo. Quel film di zombie generico e senza vita aveva nondimeno incontrato un ottimo successo, tanto da fruttare un sequel (Peninsula) che sempre di più ha allontanato questo regista e sceneggiatore dal suo film più bello e sorprendente, il clamoroso The Fake (uno dei film più cinici, cattivi e neri di sempre). Ora Jung_E completa il cerchio dell'aria fritta e certifica la china discendente di Yeon Sang-ho.

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