Jumbo, la recensione | Trieste Science+Fiction Festival 2020
La regista Zoé Wittock firma con Jumbo, un progetto sostenuto dall'interpretazione di Noémie Merlant, la sua interessante opera prima
A interpretare nel progetto, presentato al Trieste Science+Fiction Festival 2020, la protagonista è l'attrice Noémie Merlant cui è stato affidato il ruolo di Jeanne, una giovane che lavora in un parco di divertimenti e vive con la madre single Margarette (Emmanielle Bercot) e attira l'attenzione del suo capo Marc (Bastien Bouillon), senza però ricambiarne i sentimenti. La ragazza si innamora infatti di Jumbo, la nuova giostra che sembra comunicare con lei tramite l'uso delle luci e dei suoni. Jeanne prova a spiegare il suo legame alla madre, ritrovandosi però alle prese con una reazione molto negativa e una totale incomprensione. Nonostante sembri impossibile, Jeanne è invece totalmente coinvolta emotivamente e persino fisicamente nella sua relazione, fonte di non poche tensioni.
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L'atmosfera un po' fiabesca e surreale è costruita bene dal punto visivo nelle interazioni tra Jeanne e Jumbo, anche grazie al direttore della fotografia Thomas Buelens che contribuisce a costruire delle sequenze non prive di fascino, come quella del primo rapporto "sessuale" della protagonista.
Uno degli elementi meno riusciti del progetto è però il montaggio di Thomas Fernandez che rende la narrazione poco fluida e smorza in più momenti la carica emotiva ben sostenuta dall'interpretazione di Noémie Merlant. I tagli effettuati, inoltre, rendono alcune presenze come quelle dei giovani bulli poco utili e comprensibili all'interno della storia che non osa mai del tutto, cercando di mantenersi in equilibrio tra dramma e leggerezza.
La regista dimostra comunque di saper gestire un materiale non privo di insidie, confezionando un film che in più momenti assume delle caratteristiche oniriche. Jumbo, sfruttando la buona interpretazione della star di Ritratto della giovane in fiamme e un'accattivante colonna sonora, risulta un film gradevole che celebra la capacità di accettare e comprendere il prossimo, pur non sfruttando nel migliore dei modi il potenziale legato all'originalità della trama.