Joker, la recensione
Dall'incontro di un regista grossolano con uno sceneggiatore raffinato nasce Joker, un film deforme da cui nemmeno Jason Statham riesce a uscirne bene
La storia di un ex dei corpi speciali "spiaggiato" a Las Vegas che sbarca il lunario con piccole truffe o come guardia del corpo, per ricchi che vogliono farsi un giro nei casino senza correre rischi, è densa di sfumature che Joker asfalta senza pietà, ansioso di arrivare alla prossima scazzottata. Personaggi come quello di Michael Angarano, ricco geek che ha fatto soldi con il software ed è in cerca di una legittimazione umana, è massacrato dal manicheismo che lo vuole contrapposto al duro di Statham. Per non dire dei personaggi femminili (dalla sfigurata alla croupier) o del carismatico boss di Stanley Tucci, tutti persi in un film che desidera finire presto ed essere semplice, che scambia la riduzione a banalità per minimalismo e per un atteggiamento secco e diretto.
Cosa voleva essere allora Joker? La redenzione di Simon West? Un adattamento di un racconto di Goldman "con una marcia in più"? A Statham, che ha sempre interpretato dei vincenti anche nelle condizioni più incredibili, uomini che nonostante quel che gli riservi la vita sembrano procedere sempre e comunque a testa alta, viene lasciato questo perdente d'eccezione, ancorato a Las Vegas più di quanto non pensi, massacrato da un senso di colpa atavico che non ci viene mai spiegato. Tutte suggestioni che sono più nella testa dello spettatore che nel film, frutto di un lavoro di deduzione che non dovrebbe spettare a chi guarda.
Joker è sostanzialmente un film ingiusto nei confronti di tutti.