John Wick, la recensione
Un pool di quasi esordienti, Keanu Reeves e comprimari di lusso per la prima sorpresa del 2015. John Wick ha i tempi di Drive e la forza di un film d'azione
Hanno creato un piccolo mondo Chad Stahelski e Derek Kolstad, regista e sceneggiatore quasi esordienti (il primo con un passato di stuntman e controfigura dello stesso Keanu Reeves), un universo dentro il nostro universo in cui la mala si muove in una geografia propria oscura al resto delle persone, come fossero vampiri di un romanzo young adult (ha i suoi luoghi, le sue regole, i suoi netturbini, la sua mitologia), in cui ogni ruolo tradizionale è trasfigurato nella sua versione gangster e i giorni paiono durare la metà delle notti.
C'è Drive ovviamente in questo film, tradotto per il cinema americano e al netto della raffinatezza di Refn. Per meglio dire di Drive ci sono le componenti più evidenti (leggere la notte e il mondo della violenza attraverso i colori sparati al neon e le luci che saturano pareti e volti) e anche qualcuna delle meno scontate, come la capacità di dosare i tempi attraverso pesi e misure inusuali. Per essere un film d'azione e di violenza John Wick ha lunghi momenti di stasi, in cui l'azione è negata e contemporaneamente se ne crea un forte desiderio per sottrazione. In questo film diretto da uno stuntman ogni qualvolta non c'è azione ci si chiede come mai non ci sia e si anela di vederla dietro l'angolo. Il movimento sembra sempre essere lì lì per deflagare, in un rimando continuo che aumenta l'acquolina divorando l'atmosfera.
Una sola cosa però uno stunt come Chad Stahelski non poteva sbagliare ed era per l'appunto l'azione. E non la sbaglia. Anche con uno dei protagonisti più macchinosi e goffi in assoluto riesce a muovere tutto con armonia abbinata ad un piacere sadico che fa il paio con il tono cupo del film. Lunghe inquadrature, pochi tagli secchi e dal gran ritmo (la montatrice è un'islandese sconosciuta ad Hollywood) e soprattutto campi lunghi, il che significa fotogrammi in cui corpi interi lottano, fisici a confronto, movimenti umani veri e ricostruzione dal vivo, niente trucchi di montaggio per simulare l'azione, solo la poesia del movimento (ve lo dico subito, Keanu non li azzecca tutti ma chi si muove intorno a lui fa i miracoli).
Quello che non era scontato invece è la maniera in cui a tre quarti della durata, là dove i film della sua categoria muoiono perchè rimasti a secco di cose da dire e desiderano solo di finire il prima possibile, John Wick rivelasse la sua anima più profonda, il suo nocciolo duro. Finita la parte di vendetta, che sembrava il cuore della storia, ne inizia un'altra dal sapore polar, che mette a frutto tutte le note noir sparse tra un cazzotto e l'altro, in cui l'amicizia, il rispetto, le regole, l'etica e il codice del mondo criminale non ammazzano ogni speranza. Di colpo non si desidera più l'azione ma si contempla un universo in cui il destino è scritto fin dalla prima inquadratura, si guarda l'inevitabile accadere con una serenità che non pensavo possibile in un film partito con così tanto disprezzo per recitazione e dialoghi.