John Wick 4, la recensione

Scarnificato fino alla sua essenza, John Wick 4 è puro stile e desiderio di raffinatezza che sfocia nel suo opposto

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione di John Wick 4, al cinema dal 23 marzo

La saga di John Wick era iniziata con una gran concentrazione sul personaggio e finisce con una grande attenzione al contesto. È come quella gigantesca clessidra tirata fuori da una valigia ad un certo punto di questo quarto film. Un oggetto di una grandezza inutile (abbinato ad una pergamena scritta a caratteri cubitali) e inutilmente raffinato, usato per qualcosa per la quale non servirebbe, cioè per dare un’ora di tempo ad un personaggio. Esiste e sta lì per dare un tono di classe alla scena ma lo fa in una maniera così grossolana da flirtare con il comico (purtroppo non a sufficienza per finirci dentro), ed è tutto così sbattuto in faccia da risultare più pretestuoso che sensato, come l’uso che viene fatto ogni tanto di frasi in latino. Tutti dettagli a cui il film chiede di prestargli un po’ del loro blasone, azione che in sé non glielo fa ricevere. Così è tutto John Wick 4: un film che abbina azione e coreografie molto raffinate ad esecutori quasi mai realmente abili, tutto dandosi un gran tono senza sapere bene come fare. 

Lo capiamo oltre ogni dubbio in questo quarto film d’ambientazione ancora una volta europea nel quale arriva Donnie Yen, marzialista cinese da tempo in forza al cinema americano, qualcuno che il cinema d’arti marziali lo fa a un livello eccelso e che ogni qualvolta compare sullo schermo crea da solo un altro film, più bello, dinamico e avvincente. Proprio come in un film di Hong Kong c’è un dualismo di opposti che si somigliano: lui è l’amico di vecchia data di John Wick che gli viene scatenato contro. Gli vuole bene, lo rispetta, ma lo deve combattere. Guardare cosa fa e come lo fa Donnie Yen e poi vedere Keanu Reeves è la misura perfetta di quello che manca a questa saga. Yen esegue le coreografie come gli altri ma non è solo più veloce e può permettersi mosse molto più creative ed elaborate (da sempre lui collabora alle sue coreografie), tra un movimento e l’altro inserisce anche variazioni e creazioni, personalità e interpretazione con il corpo, swag e dramma. Usa le arti marziali per fare cinema ed è subito più interessante.

Un film intero così di 160 minuti con Donnie Yen protagonista è guardabile (specie se come avviene gli sono opposti altri eccelsi marzialisti come Marko Zaror e Scott Adkins), con Keanu Reeves che ripete a oltranza le medesime mosse in sequenze d’azione interminabili intervallate da qualche sentenza di Ian McShane o qualche minaccia di Bill Skarsgard, molto meno. A mandare avanti il tutto non basta di certo un armamentario di citazioni da scuola di cinema che vanno dallo stacco cerino spento/alba di Lawrence D’Arabia, al grande studio di Tyrrel di Blade Runner (ma tutta la fotografia di Dan Laustsen sembra quella lì, filtrata dalle idee che ha avuto per rinnovarla Roger Deakins) fino alla dj di I guerrieri della notte che invita tutti i sicari di Parigi a dare la caccia a John Wick. Non basta se poi l’intreccio è sempre che un’entità lontana invia nuovi nemici per combattere il protagonista come in una puntata di un qualsiasi cartone animato mecha giapponese.

Può sembrare pretestuoso prendersela con la scrittura in un film simile, uno che così dichiaratamente punta su altro, cioè sul tono, sull’estetica, sulla sua idea di classe e stile applicato a qualcosa di raffinato come le coreografie marziali. Eppure due ore e quaranta devono pur passare! Se Stahelski è riuscito con questa saga e con altri film come Atomica Bionda ad affermare un’altra idea di azione a Hollywood, John Wick rimane il suo manifesto programmatico, quello in cui con le immagini parla di una visione diversa dell’azione, una che è un’arte antica tradotta nel presente, qualcosa di artigianale come gli abiti su misura, forgiato nella fatica per il piacere di chi ha occhi per gustarla. Difficile non essere d’accordo nella teoria, ma è più difficile nella pratica guardare un film che poi ha scene come quella nel deserto in cui John Wick spara a cavallo davanti a uno sfondo decisamente fasullo. Si crede molto raffinato e invece è solo barocco.

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