John Doe vol. 1, la recensione

Abbiamo recensito il primo volume della nuova edizione BAO Publishing di John Doe, serie creata da Roberto Recchioni e Lorenzo Bartoli

Fumettallaro dalla nascita, ha perso i capelli ma non la voglia di leggere storie che lo emozionino.


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John Doe vol. 1, pagina 15Bisogna approcciarsi alla lettura di questo primo volume di John Doe con la stessa riverenza e il giusto rispetto che si tributano a pagine che hanno scritto la storia della narrativa. Quando nel 2003 il primo numero di questa fortunata serie faceva il suo esordio in edicola, lo stato dell’editoria italiana non era dei più memorabili. Il monopolio Bonelli era fermo nella riproposizione stanca e manieristica dei soliti personaggi, il panorama supereroistico a stelle e strisce viveva una fase di trasformazione e sperimentazione che rendeva altalenante la riuscita stessa delle singole testate. In questa palude, dicevamo, ecco comparire le avventure del direttore della Trapassati Inc. e da quel momento qualcosa è cambiato.

Un nuovo modo di intendere e concepire un prodotto inizia a insinuarsi nell’industria dei fumetti italiana e i fautori di questa rivoluzione sono il compianto Lorenzo Bartoli e Roberto Recchioni. Oltre alla sua collaborazione su Martin Mystère, Bartoli ha già pubblicato diverse opere di successo (Il Dono di EricUomini e TopiUn italiano, un francese e un americano) mentre Recchioni è al suo primo vero lavoro sulla lunga distanza. Eppure i due riescono nell’intento di dare una sferzata di vitalità a una scena ormai spenta e regalano al pubblico un personaggio di rottura in grado di conquistare tutti sin dal primo numero. A distanza di 13 anni dal numero 1, BAO Publishing decide di riportare in vita queste tavole e pubblicherà l’intera prima stagione di John Doe (24 episodi) in volumi brossurati a cadenza trimestrale.

John Doe vol. 1, pagina 16L’incipit del primo numero è divenuto storia: la morte è un business, lo sanno bene anche i quattro Cavalieri dell’Apocalisse (Morte, Pestilenza, Fame, Guerra) che sulla Terra hanno un’agenzia per gestire i decessi, la Trapassati Inc. appunto. Le Alte Sfere (Fato e il Grande Capo) stabiliscono data, luogo e modalità della morte di ogni essere vivente, spetta a John Doe far si che non intervenga nulla a modificare tali eventi, evitando, quindi, che qualcosa vada come non dovrebbe. Durante quello che all’apparenza sembrerebbe essere un normale giorno di lavoro, il tenebroso e affascinante direttore Doe nota alcune anomalie, alcune persone schedate sotto la classificazione omega. Non manca ingegno e arguzia al nostro che ben presto viene a capo di questo mistero: come spesso accade anche la Trapassati Inc. sta imbrogliando sulle cifre, commettendo un falso in bilancio. La seducente Morte, infatti, sta arruolando un esercito di persone in vista di quello che sarà il giorno del giudizio e per compensare questi ammanchi di cassa sta architettando, insieme agli altri tre cavalieri, un olocausto che metta tutto in pareggio. Una volta scoperto il piano, John priverà Morte della sua arma e inizierà una fuga attraverso gli Stati Uniti d’America, che farà tappa in questi primi numeri ad Hartford, Savannah e Providence.

John Doe vol. 1, pagina 17Nascosti dentro un albo dal formato “bonellide” troviamo tanti elementi nuovi e di rottura. Uno dei più innovativi è la sua serialità. I due autori, infatti, avevano stabilito a priori che la pubblicazione sarebbe stata suddivisa in stagioni, elemento ereditato dalle serie TV americane. Prendiamo come esempio i dominatori delle edicole italiane, Tex e Dylan Dog. Le loro pubblicazioni vanno avanti da 50 anni, il primo, e 15 il secondo, e non si riesce a immaginare una conclusione del loro corso editoriale. Tex è forte di una mitologia e uno stile divenuti dei classici che si ripetono perpetui; Dylan Dog, figlio di una geniale intuizione di Tiziano Sclavi, per troppi anni ha vissuto sull’onda del successo iniziale, restando però legato al solo pubblico originario e impermeabile a un’evoluzione che avrebbe potuto allargare la schiera di seguaci. John Doe, invece, nasce come opera che ha un inizio e soprattutto una fine. Il protagonista vive avventure che lo portano a evolvere, crescere, incontrare personaggi nuovi che sovente hanno vita breve (in fondo Morte incombe) senza restare ancorato a un cast fisso di comprimari. Questo permette un’interazione tra i personaggi dinamica, capace di variare i toni numero dopo numero, di dare completa libertà agli autori.

Bartoli e Recchioni si divertono a condurre John Doe in questa avventura on the road, e ci riescono con uno storytelling fresco, emozionante, ricco di colpi di scena e inseguimenti su bolidi fiammeggianti ai confini dell’universo. Grande attenzione viene riposta anche alla caratterizzazione dei protagonisti. John può essere considerato uno “stronzo”, in continuo bilico tra gesti di altruismo e machiavelliche orchestrazioni, sorrisi ammalianti e profondo amore. Intorno a lui ruota un cast di comprimari surreali, entità astratte alle quali il tandem creativo riesce a conferire tratti umani ben riconoscibili, in un macabro gioco di allegorie e richiami. L’empatia è immediata e risulterà facile restare travolti dal fascino di questo personaggio che, a distanza di 13 anni, risulta ancora credibile e funzionante.

John Doe vol. 1, pagina 18Altra peculiarità di quest’opera è l’alternanza in ogni capitolo al tavolo da disegno di autori dallo stile grafico completamente diverso. In questo primo volume troviamo le matite di Emiliano Mammucari, Walter Venturi, Giuseppe Manunta, Marco Cedric Farinelli e Luca Bertelè. Le peculiarità di ognuno di loro caratterizzano ed esaltano la narrazione. Lo schema della tavola è regolare, il numero di vignette varia e si adatta alle diverse fasi dello storytelling, lasciandosi andare a illustrazioni a tutta pagina in grado si sublimare paesaggi onirici o passaggi fondamentali della storia. La spigolosità di Mammucari, il tratto debitore del grande Magnus di Venturi, la delicatezza di Manunta e la sua scelta di proporre tavole senza china per evidenziare i flashback, la versatilità di Farinelli e Bertelè impreziosiscono questo volume, rimarcando, qualora ce ne fosse ancora bisogno, la grande componente sperimentale di John Doe, evidente tanto in fase di scrittura quanto in quella illustrativa.

A distanza di oltre 13 anni da quella prima pubblicazione possiamo affermare che la bontà del progetto artistico portato avanti da Lorenzo Bartoli e Roberto Recchioni è sicuramente comprovata e i successivi lavori di Recchioni sono figli del laboratorio creativo che è stato John Doe; si pensi a Orfani, che mantiene lo stesso impianto seriale e l’apporto di disegnatori sempre diversi, o a Dylan Dog, personaggio che ha allargato i propri orizzonti, aprendosi a lettori più giovani. L’irriverenza, la forza iconoclasta, le scelte coraggiose dei due hanno partorito un’opera che ancora oggi brilla e conquista, e che non tarderà a parlare a quel pubblico che nel 2003 ha perso l’occasione di leggere questo capolavoro.

Merito va riconosciuto a BAO Publishing che con lo stesso coraggio decide di riportare sugli scaffali delle librerie un’opera imprescindibile, rimasterizzata con il supporto dello stesso Recchioni. Un must per ogni amante della narrativa a fumetti.

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