Jingle Jangle, la recensione

Jingle Jangle pur professandosi dalla parte dell’immaginazione e della creatività (come spesso si canta nei film di Natale, e anche in questo) va in tutt’altra direzione: ovvero quella della disimpegnata mediocrità.

Condividi
Che noia, che lentezza, che sofferenza questo Jingle Jingle, film natalizio musicale prodotto da John Legend e diretto da David E. Talbert, che con questo film rientra forse nei record delle filmografie più strane: negli ultimi quattro anni ha infatti diretto solo film natalizi (per la precisione tre). Ma nemmeno questa expertise di Talbert salva in qualche modo Jingle Jangle, che avendo una sceneggiatura a dir poco inesistente e una banalità registica sconcertante, pur professandosi dalla parte dell’immaginazione e della creatività (come spesso si canta nei film di Natale) va in tutt’altra direzione: ovvero quella della disimpegnata mediocrità.

L’incipit vede una una nonna che racconta ai nipotini una storia davanti al caminetto, topos consolidato della narrazione natalizia: fin qui niente di cui lamentarsi. Ma la storia che racconta la nonna, ovvero il film che si dispiega davanti agli occhi dello spettatore - e da cui si riemergerà solo alla fine del racconto – ci dà sempre l’impressione di essere qualcosa di già visto, già sentito, che non ha l’originalità della variazione ma solo la stanchezza del riuso. Il protagonista è Jeronicus Jangle (Forest Whitaker), “l’inventore migliore del mondo” e forse la persona più felice: ha infatti una moglie e una figlia che lo amano e un negozio di giocattoli che vende alla grande. Ma un giorno il suo assistente, anche lui aspirante inventore, decide per invidia di rubargli tutti i brevetti raccolti nel libro delle invenzioni, per poi riusarle per diventare ricco e famoso. Da lì la tragedia: la moglie di Jeronicus muore, lui caccia la figlia di casa (non si capisce bene perché) e passa la sua vita da solo nel suo negozio diventato un banco dei pegni. Ma ecco che un giorno, dal nulla, sua nipote va da lui e con il suo sorriso e la sua voglia di vivere lo tira su di morale, aiutandolo a smascherare il cattivo ex assistente.

Se la regola di ogni buona storia, come diceva qualcuno, è avere un buon personaggio antagonista, Jingle Jangle allora non lo è sicuramente. Non solo perché non ha alcun senso dei tempi narrativi, ma proprio perché non ha alcun tipo di conflitto che anima i personaggi: anche quello che dovrebbe essere il cattivo ex assistente in realtà appare buono, o sostanzialmente poco rilevante ai fini della storia. Ma in generale tutti appaiono troppo buoni e tutti si mettono subito d’accordo quando qualcosa va male, risolvendo ogni problema, anche il più apparentemente insormontabile (come la distanza tra Jeronicus e la figlia) in un battito di ciglia. L’impressione è costantemente quella del “ah, bastava questo?”

Il problema di base è allora forse l’assenza di empatia, che ci impedisce di partecipare anche solo un secondo a quello che sta succedendo. Nemmeno i momenti di musical si salvano: né i momenti corali né quelli solisti riescono a brillare, avendo sia un forte problema di montaggio e di regia (come si fa ad avere dei momenti musical e a filmarli senza alcun senso del ritmo?) che di senso stesso del momento musical (arrivano all’improvviso, senza che ce lo si aspetti – e questo non è mai un buon segnale). Peccato invece per i momenti di animazione, visivamente molto interessanti, ma che purtroppo perdono il loro potenziale in mezzo alla pochezza di tutto il resto.

David E. Talbert si rifarà forse con un nuovo film di Natale?

Continua a leggere su BadTaste