Jessica Jones (terza stagione): la recensione

La terza e ultima stagione di Jessica Jones chiude il progetto delle serie Marvel su Netflix: così finisce un universo

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Qui finisce tutto. O almeno una parte di quel grande tutto che è il Marvel Cinematic Universe. La costola più dark del progetto, dalla quale sono nate tutte le serie distribuite da Netflix, termina con la terza stagione di Jessica Jones. Per motivi produttivi e di tempistiche, questa non è naturalmente una stagione ideata per chiudere l'universo dei Difensori, ma solo una nuova storia con protagonista l'investigatrice violenta interpretata da Krysten Ritter. Epilogo suo malgrado quindi, almeno per quanto riguarda l'universo di cui fa parte, Jessica Jones termina la sua storia con una terza stagione migliore della seconda, inferiore alla prima, che conferma quei pregi e difetti che oramai è quasi superfluo sottolineare.

La vicenda si carica per tutti i tredici episodi della tragica conclusione della scorsa stagione. Trish ha ucciso la madre di Jessica Jones, ma più che il risentimento della protagonista nei confronti della sorella, qui è il percorso di Trish ad avere un peso. Il personaggio sembra infatti aver ereditato, come una maledizione, quella rabbia incontrollabile che muoveva Alisa. Ha inoltre sviluppato quelle superfacoltà – definirli superpoteri sembra esagerato – che la portano a diventare Hellcat. È lei la vera protagonista della vicenda, in bilico tra responsabilità e perdizione, morale distorta e rabbia. E c'è un nuovo villain, un serial killer di nome Salinger, che potrebbe contribuire a far esplodere questa violenza.

In base a questa descrizione, Jessica Jones sembra accantonata, e in parte lo è. Rimane la protagonista della storia, il punto di vista fondamentale, e di gran lunga il personaggio più piacevole da seguire, ma non è lei al centro del conflitto. Per certi versi si ripetono allora le dinamiche della seconda stagione, con Jessica alla costante rincorsa di qualcuno vicino a lei che rischia di perdersi nella rabbia e nel dolore. Ma questa dovrà – per qualche motivo – essere anche la storia dei personaggi secondari. E quindi ecco Jeri Hogart che cerca di riallacciare i rapporti con una vecchia fiamma, Malcolm che forse non si trova bene a lavorare con Jeri, e l'arrivo di Erik, un uomo capace di percepire il male negli altri.

Non sarà una sorpresa scoprire che tredici episodi sono ancora una volta troppi a fronte di una stagione che offre una partenza stentata, indulge in puntate che mostrano gli stessi eventi da diversi punti di vista, ricade in schemi ripetuti ancora e ancora. L'intreccio si attiene al manuale della scrittura dei vigilanti tormentati, quelli che dovrebbero trattenersi dall'uccidere i malvagi per evitare di diventare come loro e che hanno molta rabbia dentro. Questo per quanto riguarda la trama principale.

Le storyline secondarie fanno uno sforzo in più rispetto allo scorso anno per collegarsi con la vicenda più importante, ma anche qui sarà difficile appassionarsi alle macchinazioni di Jeri o alle improbabili vicende romantiche di Malcolm. D'altra parte la terza stagione di Jessica Jones è superiore alla seconda. Quantomeno ha un villain che può tenere in scacco il suo avversario senza superpoteri, e grazie alla credibilità del rapporto tra Jessica e Trish tutto è molto più fluido. La scrittura crede nel personaggio di Trish, ce ne racconta ancora retroscena, tramite flashback, e pone l'accento su un rapporto con la madre che in verità ha ancora qualcosa da dire.

Krysten Ritter poi è stata di gran lunga la scelta di casting più azzeccata dell'intero Marvel Netflix Universe: semplicemente, ha una credibilità e un'adesione al ruolo che non hanno pari tra Difensori e non. A proposito dei Difensori, ci sono un cameo di dubbia utilità e un vago riferimento sul destino di un personaggio. Così finisce un universo, con una stagione che alla fine non è né la migliore né la peggiore. In fondo, tutto ciò che valeva la pena dire su questo progetto, in positivo e in negativo, era già stato detto.

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