Jessica Jones (prima stagione): la recensione

Dopo Daredevil, il progetto Marvel-Netflix prosegue con Jessica Jones: serie con alcune cadute, ma anche dark e ricca di tematiche

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Spoiler Alert
Se Daredevil era il caos, Jessica Jones è il controllo.

Il diavolo rosso trasfigurava l'ordine delle aule di tribunale in un senso di giustizia più personale e vendicativo, che di notte di imponeva in modi altrimenti irraggiungibili. Il caos vuol dire libertà, possibilità, e in un mondo dove l'ordine stesso è marcio si tratta dell'unica strada percorribile, anche se non è quella giusta o quella che ogni persona dovrebbe augurarsi. Eppure il controllo, solo apparentemente più rassicurante, una volta estremizzato rappresenta un'altra faccia dell'orrore, forse peggiore: la costrizione, la trappola mentale, l'annientamento della dignità e della libertà. Per tredici episodi Jessica Jones ha raccontato questo. Lo ha fatto perdendosi per strada nei rivoli di storyline non sempre efficaci, tra coincidenze eccessive, punti morti, personaggi mal sfruttati, ma riconducendo tutto a una tematica comune. Questa, insieme a un'ottima coppia di protagonisti e a un piglio più maturo e dark all'interno dell'universo Marvel, hanno permesso alla serie di tradursi in una scommessa vinta.

Attraverso la finestra rotta della porta di casa, entriamo nello spoglio appartamento di Jessica Jones (Krysten Ritter), investigatrice privata a New York. Distaccata, sarcastica, quasi indifferente alla cura di se stessa, praticamente priva di appigli emotivi al di fuori dell'amica Trish (Rachel Taylor), quando non lavora in proprio sui casi che le si presentano collabora con l'avvocato Jeri Hogart (Carrie Ann-Moss). Nel corso del suo ultimo caso incontra Luke Cage (Mike Colter), altro personaggio che cela più di un segreto alle spalle. Tutto questo è solo l'inizio di un doloroso capitolo della tragica vita di Jessica, con il ritorno di un personaggio dal suo passato che riaprirà una ferita mai completamente rimarginata.

Daredevil rappresenta per l'universo Marvel-Netflix ciò che Iron Man è stato per il filone cinematografico. È il solco nel quale muoversi, è la storia che indica le linee guida da seguire nello stile, è il riferimento diretto e imprescindibile. Melissa Rosenberg lo sa e, al netto di alcune imposizioni più evidenti – come l'apparizione di Rosario Dawson – si adegua in automatico a ciò che è venuto prima e a ciò che verrà poi (Luke Cage, il lontano progetto Defenders). Fin dal primo istante ci muoviamo in una New York alternativa rispetto a quella della battaglia contro i Chitauri. L'universo è lo stesso, i riferimenti con il contagocce arriveranno, ma questo è un mondo più piccolo, che lavora su scala metropolitana e non mondiale, che addirittura si muove in un genere completamente diverso.

Se infatti il superhero-movie ormai fa sempre più storia a sé, ma rimane un sottogenere dell'action, Daredevil e soprattutto Jessica Jones sono più vicini al genere noir. Ancora più precisamente, siamo dalle parti dell'hard-boiled: senza dubbio sporcato dalle molte sequenze action e dai superpoteri, ma comunque presente. Jessica Jones può allora essere una rilettura femminile contemporanea di Philip Marlowe, ne possiede le caratteristiche salienti, e il contesto degradato e malsano nel quale si muove ci dice che è così. La Ritter ha lo sguardo corrucciato e distante, la battuta pronta, una certa indifferenza e distacco emotivo. Ma tutto questo è solo la maschera che serve a coprire la fragilità di un personaggio che vorrebbe ancora poter credere negli ideali in un mondo che l'ha resa completamente disincantata.

Questo è il grande valore del personaggio, qualcosa che la rende diversa da qualunque altro supereroe raccontato finora. Jessica Jones, come dirà a qualcuno, non ha bisogno di uno pseudonimo da battaglia, né di una maschera. Perché è se stessa, è umana e imperfetta come raramente lo sono questi personaggi, e indossa già una maschera, perché il ruolo che interpreta e i suoi traumi passati le hanno cucito addosso una corazza che la rende invulnerabile ai sentimenti. O almeno così le piacerebbe credere. Anche questa, a modo suo, è una forma di controllo, ma naturalmente non sarà la peggiore che vedremo nella serie.

La nemesi è Kilgrave, l'uomo dotato del potere di controllare la mente altrui e piegarla al proprio volere. David Tennant dona una fredda umanità al suo personaggio, ancora più spaventosa perché non così eccezionale come i soliti poteri dei villain, ma quasi familiare nelle sue forme di manipolazione del prossimo. Kilgrave schianta e annienta l'umanità di chi lo circonda, ma la sua rappresentazione sovrannaturale – anche se una spiegazione pseudoscientifica arriverà – non si esaurisce in semplice strumento narrativo, nella minaccia da sconfiggere. È qualcosa di più, ed è qui che Jessica Jones svela la sua anima più femminile.

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C'è almeno un quadrilatero di schiavitù, di varia natura, ma tutte femminili, che si connettono nel corso della stagione. Jessica Jones ha perso sogni e dignità nel periodo in cui era preda di Kilgrave, e così la giovane Hope, ma anche l'amica Trish e l'altezzosa Jeri (che nei fumetti è un uomo e non a caso è stato effettuato questo cambiamento) avranno i loro problemi. Tutto è sempre una questione di controllo: Trish ha una madre che ha riversato su di lei frustrazioni e aspettative, costringendola a interpretare da giovane un personaggio televisivo che l'ha marcata, Jeri è intrappolata in un divorzio che non riesce a sostenere, e in una relazione nella quale si illude di avere il controllo, lei che è stata abituata ad avere relazioni di questo tipo con chiunque. E non è un caso che nella serie si parli anche di assuefazione alle droghe e di gruppi di sostegno.

Con questa chiave di lettura, Kilgrave diventa qualcosa di più, la rappresentazione più estrema e letterale di un disagio che, anche in forme comuni, è vissuto in altri contesti. E c'è ossessione, senso di colpa, l'idea generalizzata e comune a tutti questi soggetti, vittime e non di Kilgrave, che la sottomissione potrebbe non essere solo colpa di chi assale, ma anche di chi non è in grado di alzare la testa e combattere. Jessica Jones riesce infine a liberarsi di questa schiavitù mentale, ci riesce senza spiegazioni e senza approfondimenti, forse solo perché arriva a capire di avere la forza per autodeterminare la propria vita. Tutto questo ha un valore simbolico che non può essere ignorato.

Se i simboli e le tematiche funzionano, la storia spesso arranca. Come al solito Netflix gestisce le trame nel lungo termine, senza legarsi al singolo episodio ma raccontando una storia in tredici puntate. D'altra parte nel primo arco della stagione, dal primo al sesto episodio, soffriremo un po' per gli eventi troppo diluiti, anche per colpa di tutta una serie di storyline secondarie che non sono legate a quella principale, o comunque strettamente necessarie (la storia di Ruben e Robyn è quasi del tutto fuoriposto). Molto viene riscattato nel blocco dal settimo al decimo episodio, decisamente il migliore della serie, nel quale tra l'altro avremo un atteso approfondimento su Kilgrave, che non lo umanizza del tutto, ma lo rende più interessante. Finale soddisfacente, crudele al punto giusto.

La macchia più pesante sulla storia sono le molte coincidenze che le permettono di andare avanti. Non tanto l'apparizione di Rosario Dawson e dell'infermiera Claire, ma tutto il complesso di relazioni che lega Jessica, Luke, Kilgrave, Reva e Will. Tutte le mosse che portano i personaggi a incontrarsi e a scoprire legami preesistenti possono essere ricostruite nel tempo, ma sono troppe e troppo eccessive per non rivelare il gioco della scrittura.

Daredevil riusciva molto meglio a coniugare temi, personaggi, storia e visione d'insieme, e a parti invertite – cioè senza il traino di quella serie – Jessica Jones avrebbe sofferto di più. D'altra parte c'è molto per cui essere soddisfatti: la visione generale non è senza imperfezioni, ma c'è ed è forte. L'idea di ricondurre ogni storia ad un tema piuttosto che alla vicenda principale è coraggiosa, interessante e meritevole, e per il resto nel sopracitato blocco di episodi ci sono un paio di colpi di sceneggiatura ben assestati che non possono affatto lasciare indifferenti. Questa è una Marvel diversa, ma necessaria, che su Netflix ha trovato una casa dove sperimentare e costruire qualcosa di innovativo e molto interessante.

  • Fantastica la sigla: il nero e il viola (colore non casuale) che si fondono nella città.

  • Nell'episodio AKA WWJD? Kilgrave afferma: "once told a man to go screw himself". Mentre ci immaginiamo le conseguenze di quella frase, ci viene in mente che questo è un riferimento ad una celebre linea di dialogo di Preacher.

  • Certo, è un personaggio tratto dai fumetti, ma tutta la storia personale di Kilgrave ricorda l'episodio classico di Ai confini della realtà "It's a good life". In fondo anche Kevin è un bambino capriccioso che potrebbe cambiare con la giusta figura femminile al suo fianco. Tra l'altro il momento in cui Jessica e Kilgrave vanno in missione insieme è uno dei migliori della serie. In un universo parallelo esiste una serie che racconta le loro avventure.

  • Luke Cage naturalmente tornerà nella sua serie personale nel 2016. Mike Colter ha dimostrato di avere il carisma necessario per gestire il personaggio, e anche se reggere una serie intera è un altro discorso, la curiosità è alta.

  • Bello come che capacità eccezionali di Jessica Jones siano mostrate quel tanto che basta, ma nulla di più per motivi di coerenza interna. È in quei momenti che ci chiediamo come potrebbe mai funzionare un'integrazione con il mondo del cinema.

  • Al momento ci sono dei piani per una seconda stagione, ma non è chiaro se questa arriverà prima o dopo The Defenders, che è previsto per il 2017.

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