Jessica Jones (seconda stagione): la recensione
Dopo il bel risultato di Punisher, nuovo passo indietro per l'universo Marvel su Netflix, con la seconda stagione di Jessica Jones
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La seconda stagione di Jessica Jones è molto più figlia degli eventi della prima stagione di quanto non lo sia dei pochi spunti offerti in Defenders. Questo grande blocco di tredici puntate si aggancia al mood, ai temi, ai conflitti introdotti nella prima stagione. I personaggi affrontano in larga parte situazioni irrisolte avviate in quella lunga stagione, e i rimandi al passato ancorano Jessica Jones ad una mitologia che le è propria e che la distingue da tutti gli altri personaggi del Marvel Netflix Universe. Jessica rimane l'investigatrice da neo-noir, irritabile, alcolizzata, violenta, solitaria, in lotta con se stessa per mantenere un briciolo di umanità, o anche solo per riconoscere a se stessa il diritto alla ricerca della felicità.
Aperti gli occhi, ci rendiamo conto di avere un milione di motivi per essere arrabbiati. Si può abbracciare quella rabbia, dare libero sfogo alle nostre frustrazioni, o trasformarla in qualcosa di positivo, cambiare noi stessi per cambiare il mondo. Ecco, nel corso della stagione i personaggi sono perennemente arrabbiati. Jessica è furiosa contro tutti i segreti del suo passato che ritornano, è arrabbiata perché teme di essere uguale alla madre, sopravvissuta all'incidente e ora una macchina impazzita (è questa la rivelazione, il cardine dell'intera stagione). Trish è devastata dalle pillole che hanno alterato le sue capacità, e odia il suo attuale status di “bambolina” radiofonica. Jeri è furente e frustrata una volta scoperto di avere la SLA. E poi c'è la madre di Jessica, Alisa, che è interamente definita come personaggio dalla rabbia che prova.
Tutto ciò, interessante sulla carta, viene svilito da un'esecuzione che episodio dopo episodio sottrae godimento alla storia in favore di un costante rimando ad un confronto futuro che non arriva, e che quando arriva non è mai così soddisfacente come vorremmo. La prima stagione di Jessica Jones non era perfetta, ma gravitava intorno ad un'idea di fondo molto buona, e soprattutto aveva un cattivo fenomenale come Kilgrave. Preso atto che quel villain non può tornare, ci aspettiamo un'alternativa altrettanto valida. Incredibile a dirsi, in questa seconda stagione non c'è nemmeno un antagonista propriamente tale. Sì, ci sono figure pericolose e conflittuali come Alisa e il dottor Clark, ma non rappresentano una minaccia nel senso classico, sono semplici vittime delle circostanze che si trascinano in avanti, come tutto del resto.
E non è scritto da nessuna parte che una storia di supereroi debba rispondere sempre a certi canoni, ma ci interroghiamo sul senso di un'operazione così lunga e anticlimatica nei suoi esiti. L'intreccio non si svolge tramite l'azione (di per sé comunque pochissima), ma quando questa arriva sembra comunque incidentale rispetto ad una serie che allontana il suo orizzonte tramite deviazioni, ritardi, parentesi, storie secondarie da dimenticare. Proprio quest'ultime sono un grave peso sull'intera stagione. La vicenda di Jeri Hogart è una lunga aggiunta senza mordente, idem per il percorso, molto respingente, di Trish e Malcolm. E, detto fuori dai denti, tredici episodi rimangono sempre troppi; è una formula che non funziona, non con questo tipo di scrittura.
Peccato. Peccato perché Krysten Ritter rimane una scelta di casting a dir poco brillante per questa serie. Anche nei momenti più superficiali e ripetitivi, ha un carisma e un'adesione al ruolo tali da permetterle di elevare ogni scena ad un livello superiore, ed è lei a farsi carico del peso della storia (ed è un grande peso) fino alle battute conclusive. Dove The Punisher aveva avviato abbastanza bene la “seconda fase” del Marvel Netflix Universe, Jessica Jones è un netto passo indietro. Temiamo abbastanza per i nuovi episodi di Luke Cage (22 giugno 2018) e di Iron Fist.