Jerry Lee Lewis: Trouble In Mind, la recensione | Cannes 75
Un documentario innamorato delle immagini che mostra e della capacità di Jerry Lee Lewis di animarle, divertire e divertirsi
Ethan Coen è un genio delle immagini non solo perché le sa manipolare benissimo ed è in grado assieme alla moglie (montatrice) di assemblarle in modo che creino molto più senso di come non possono fare da sole, ma anche perché qui dimostra una capacità eccezionale di saperle leggere e di selezionare, tra centinaia di ore di materiale a disposizione sul suo soggetto, un’ora e mezza in cui ogni nuova esibizione, anche solo dal punto di vista visivo, dice tantissimo. Raramente si vede un documentario in cui ogni segmento è forte come quello precedente.
Questo però è un tributo al divertimento della musica e del guardare qualcosa. Vedendo Jerry Lee Lewis: Trouble My Mind è chiaro che metà del materiale selezionato è lì per fornire informazioni interessanti e l’altra metà è lì per far ridere. Ridere non tanto con delle battute o con delle dichiarazioni, quanto con le inquadrature. Pezzi di tv americana degli anni ‘50, ‘60 e ‘70 che fanno ridere anche solo per come sono disposte le persone, per come creano una frizione tra personaggio e canzone e via dicendo. Questo è un documentario diretto da una persona con un’abilità eccezionale nel leggere nelle immagini, che ci si diverte, le adora ed è così brava da montarle in modo che tutto questo venga notato anche dallo spettatore.
Forse in questa fase in cui i fratelli Coen girano anche film separati scopriremo che Joel è l’anima seria (lo ha dimostrato con Macbeth) e Ethan quella comica.
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