Jerry Before Seinfeld, la recensione dello special su Netflix

La nostra recensione dello speciale comedy Jerry Before Seinfeld su Netflix

Critico e giornalista cinematografico


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La prima cosa che colpisce di Jerry Before Seinfeld, lo special appena arrivato su Netflix che rimette il grandissimo Jerry Seinfeld sul palco del locale in cui è nato e cresciuto come stand up comedian, il The Comic Strip di New York, è il ritmo. Mentre il mondo dello spettacolo è andato negli anni serrando i suoi tempi e innalzando il ritmo, guardando Seinfeld fare quel che sa fare meglio si ha l’impressione che la stand up comedy abbia fatto il percorso inverso.

I molti spettacoli che sono disponibili su Netflix, a prescindere dalla qualità, hanno tutti in comune un modo di stare sul palco in cui ci si concentra tanto sulle pause quanto sulle battute, in cui il comico attende, aspetta, fa scorrere una battuta con un po’ di silenzio e poi sferra un altro colpo, in cui ride con il pubblico, si ferma anche per 3-4 secondi e poi riattacca. Seinfeld no. Quella di Seinfeld è una prestazione atletica, un unico scatto lungo un’ora inframezzato da segmenti video da un minuto girati nei luoghi in cui è cresciuto, impressionante per potenza e ritmo. Sembra quasi che le battute le sprechi tanto poco ci si sofferma, così rapido è il passaggio alla successiva. E forse proprio per questo non ha mai bisogno della trovata devastante, della punchline che regga uno spettacolo intero, perché è il ritmo il vero protagonista.

Tutto lo show che Seinfeld tiene davanti al più tipico dei muri di mattoni da stand up comedy, è una celebrazione della sua vita e della sua storia professionale, quindi c’è molto di rievocato e ci sono, per l’appunto, degli inserti video con foto d’epoca, piccole interviste e una gran trovata visiva: Seinfeld seduto su una strada cosparsa ordinatamente di tutti i fogli in cui lungo la sua carriera ha appuntato, studiato e provato le sue battute, una specie di via tempestata di lavoro e sudore da comico.

Del resto lui è il primo a dire, scherzando, che tutti pensano di poter fare il comico, tutti pensano di essere in grado di far ridere. Tutto lo spettacolo dimostrerà il contrario. Non solo non tutti possono, ma pochi lo fanno come lui. Pochi hanno quella capacità di lavorare al millimetro sulla parola. Ingegnere della battuta, Seinfeld dimostra ancora una volta di avere il minimo riguardo per il contenuto ed essere capace, solo con il lavoro su ritmo, tempi, inflessione della voce e trovate, di rendere divertente qualsiasi cosa. La comicità per lui non è la sovversione vera, per lui la comicità è un modo di presentare le frasi.

Gli argomenti sono quelli di sempre, basta anche solo aver conosciuto la sua serie televisiva per sapere come i suoi gusti girino intorno alla comicità osservazionale, notare un dettaglio e allargarne le implicazioni con le battute, girarci intorno tantissimo trovando angoli di ironia. Seinfeld non è Robin WilliamsBill Cosby, né ancora Kevin Hart o Amy Schumer, nonostante ne abbia la carica, è un comico di sola parola, usa pochissimo il fisico e lo dosa in pochi momenti in cui è indispensabile (il gustosissimo segmento sul fatto che i bambini annoiati non controllano il loro corpo). Ma è quasi logico. Perché Seinfeld è la parte sicura e rassicurante della comicità, non la parte preoccupante e devastante. È il comico in giacca e cravatta.

Nonostante lui stesso racconti come la caratteristica dei comici professionisti o di testate come MAD Magazine che più lo impressionava fin da piccolo fosse il loro essere rivoluzionarie, devastanti e senza regole, i suoi monologhi sono in realtà pieni di regole e paletti che è bravo a non mostrare. Seinfeld non parla di sesso e non parla di politica. Solo in un momento attaccherà i simboli del partito democratico e repubblicano (un asino e un elefante) ma oltre ad essere bipartisan è una critica all’acqua di rose, per quanto divertente. Perché Seinfeld non è i suoi temi, non è un comico afroamericano che tiene ai problemi di razza, con ha a cuore la religione, l’amore o il lavoro, Seinfeld è il gesto, è il ritmo, è quella sua parlata assurda con i falsetti. È un lavoro maniacale su di sé e sull’enunciazione che crea la comicità anche lì dove non c’è. È l’opposto logico di un gigante della stand up moderna come Louis C.K. ma anche di un Dave Chappelle, perché non ha ossessioni vere, ha solo uno stile vero.

La comicità garbatissima di Seinfeld si muove in un mondo che non ha rispetto per niente, avendo il massimo rispetto di tutto e tutti. Sa mettere in scena solo con la parola il mondo segreto degli oggetti come quando racconta quello che si dicono e che vivono i vestiti quando chi li indossa non c’è. Sembra un film Pixar: i vestiti che fanno festa nella lavatrice e si bloccano quando qualcuno la apre, il calzino spaiato che parla male di quello che non c’è più (“Non si è mai integrato davvero”).

È tutto leggerissimo, impalpabile ma per quell’ora è una macchina delle risate inesorabile.

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