Jeanne du Barry, la recensione
Salvato dalla scelta di avere Johnny Depp come re Luigi XV, il Jeanne du Barry di Maiwenn è un film di un moralismo impensabile
La recensione di Jeanne du Barry, il film Maiwenn che ha aperto il festival di Cannes 2023
Jeanne du Barry è uno di quei film in cui mentre la protagonista rompe il protocollo tutti intorno a lei mormorano: “Ma è uno scandalo!” o “Che impudenza!”, e i servitori muti e fermi sorridono in approvazione. Maiwenn non esita ad applicare in tutto e per tutto il punto di vista moderno per il suo personaggio, capace di vedere il ridicolo nei rituali di corte come li vediamo noi, che rifiuta la lingua formale ed è spigliatissima, che nota le assurdità della vita di un re come se non appartenesse al proprio tempo (ma anche il re concorda con lei!). È parte della rigida divisione che questo film opera tra personaggi moderni (i buoni) e antichi (i cattivi), in cui i primi sono pieni di tolleranza e inclusività, non sono annebbiati e vedono le cose per come stanno. L’emblema dei nostri anni.
Così Jeanne du Barry è la cortigiana dei nobili, migliore dei nobili che poi la trattano con disprezzo in un ‘700 sessualmente spregiudicato fatto di stereotipi più che di personaggi. Tutti tranne il re Luigi XV di Johnny Depp, a mezzo servizio per i suoi standard e non impeccabile nelle scene più impegnative, tuttavia l'unico capace di emanare un’aura ed essere convincente nel suo ruolo. Una volta tanto recita senza un trucco pesante, con la sua faccia, lavora di silenzi e quando punta sulla propria caratura per alimentare l’aura del re, che passa tra le persone riverenti, che ammonisce con uno sguardo o che ammalia con la presenza, mostra la differenza tra un star mal diretta e un attore comune mal diretto.
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