Jeanne du Barry, la recensione

Salvato dalla scelta di avere Johnny Depp come re Luigi XV, il Jeanne du Barry di Maiwenn è un film di un moralismo impensabile

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione di Jeanne du Barry, il film Maiwenn che ha aperto il festival di Cannes 2023

Bisogna essere davvero innamorate del proprio personaggio (scritto, diretto e anche interpretato) per dargli così tanti tratti positivi e iperbolici senza nessuna ombra. La Jeanne du Barry di Maiwenn è moderna, sfida le convenzioni dell’epoca, patrona delle arti, sensibile, colta, curiosa, bella (viene proprio detto dalla voce narrante) e sa coniugare la spontaneità popolana con la vita sofisticata di corte. Ad un certo punto adotta un bambino africano ridicolizzato a corte e verremo informati che lui diventerà un adulto equilibrato e sensibile proprio perché è stata lei ad educarlo. Questo concentrato di perfezione e bellezza e fascino e sensualità, viene chiamata a corte dal re Luigi XV, fulminato dalla sua presenza con un solo sguardo per essere una delle sue cortigiane e diventerà in fretta la preferita. Come si conviene in questi casi la cosa le attirerà gli odi del resto della famiglia reale, che la disprezza e osteggia anche per i suoi costumi, la sua sfrontatezza e libertà. 

Jeanne du Barry è uno di quei film in cui mentre la protagonista rompe il protocollo tutti intorno a lei mormorano: “Ma è uno scandalo!” o “Che impudenza!”, e i servitori muti e fermi sorridono in approvazione. Maiwenn non esita ad applicare in tutto e per tutto il punto di vista moderno per il suo personaggio, capace di vedere il ridicolo nei rituali di corte come li vediamo noi, che rifiuta la lingua formale ed è spigliatissima, che nota le assurdità della vita di un re come se non appartenesse al proprio tempo (ma anche il re concorda con lei!). È parte della rigida divisione che questo film opera tra personaggi moderni (i buoni) e antichi (i cattivi), in cui i primi sono pieni di tolleranza e inclusività, non sono annebbiati e vedono le cose per come stanno. L’emblema dei nostri anni. 

Ovviamente i racconti del passato da sempre sono animati dallo spirito del tempo in cui sono scritti o girati, perché in realtà è sempre di quel presente che parlano, ma Maiwenn lo fa con un moralismo impossibile da tollerare. Usa il metro contemporaneo per giudicare personaggi che, benché realmente esistiti, lei stessa ha scritto in questo modo (con Teddy Lussi-Modeste e Nicolas Livecchi) appositamente perché fosse facile giudicarli. Per mostrare a noi cosa sia giusto e cosa invece evidentemente sbagliato con il malcelato intento di educare le masse.

Così Jeanne du Barry è la cortigiana dei nobili, migliore dei nobili che poi la trattano con disprezzo in un ‘700 sessualmente spregiudicato fatto di stereotipi più che di personaggi. Tutti tranne il re Luigi XV di Johnny Depp, a mezzo servizio per i suoi standard e non impeccabile nelle scene più impegnative, tuttavia l'unico capace di emanare un’aura ed essere convincente nel suo ruolo. Una volta tanto recita senza un trucco pesante, con la sua faccia, lavora di silenzi e quando punta sulla propria caratura per alimentare l’aura del re, che passa tra le persone riverenti, che ammonisce con uno sguardo o che ammalia con la presenza, mostra la differenza tra un star mal diretta e un attore comune mal diretto.

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