Jason Bourne: la recensione
È il contrasto tra le nuove minacce di un mondo mutato dalla tecnologia e la solita caccia al vecchio Bourne a dare fascino al film di Greengrass
Se Identity premeva sul disperato recupero di un’identità perduta e Supremacy rimescolava le carte per dettare ulteriori condizioni in Ultimatum, il nuovo film di Paul Greengrass riporta Bourne sul campo consegnandogli la facoltà di non dire, quasi, una parola. Bourne tace per gran parte del film, proprio perché ha concluso un ciclo della sua vita fatto di fiumi di domande e ha interiorizzato definitivamente la propria condizione di eterno apolide, tanto cosmopolita quanto isolato da un mondo che rimane, sempre e comunque, rumore di fondo. Pur senza espandere di molto la vicenda, Jason Bourne è una buona prosecuzione del franchise: scatena sul ring gli ingredienti più classici della saga spostandone il timone sulla cybersicurezza e sull’inevitabile spunto complottistico della violazione della privacy di ognuno di noi, alla mercé dell’intreccio perverso tra geopolitica e spionaggio industriale.
Greengrass, già regista del secondo e del terzo capitolo della saga, sceglie di non cambiare tutto a qualsiasi costo, nonostante le differenze tra un passato recente fatto di grandi mutamenti e un presente ancora più dominato dalle minacce virtuali. Il suo Bourne funziona ancora abbastanza bene perché non è necessariamente un uomo d’altri tempi, ma perché è talmente impegnato a restare vivo da lasciare che tutto ciò che gli dà la caccia lo sfiori senza ucciderlo. È quasi confortante vedere Bourne riuscire a cavarsela ancora alla vecchia maniera, nonostante ormai sia letteralmente assediato da ogni genere di strumento di controllo che, a rigor di logica, dovrebbe semplificarne di molto la cattura. È anche questa tipologia di azione, fatta ancora di piccoli e diabolici stratagemmi adottati dai protagonisti, a compensare la freddezza dei loro volti tendenzialmente statici, estranei al gioco delle emozioni umane e sempre e solo concentrati “sul pezzo”, senza potersi mai permettere di cedere alla sfera emotiva. Mentre nel film l’idea del mondo interconnesso come più trasparente e più sicuro si sgretola come un castello di carte, Bourne rimane del tutto indifferente e continua inesorabilmente a combattere la propria battaglia personale. In effetti, è proprio questo contrasto tra le nuove minacce di un mondo mutato dalla tecnologia e la solita caccia al vecchio Bourne a dare fascino al film di Greengrass, molto attento a non spettacolarizzare troppo l'azione e a gestire ritmo e tensione al punto giusto, lasciando le porte naturalmente aperte a ulteriori capitoli.