Jason Bourne: la recensione

È il contrasto tra le nuove minacce di un mondo mutato dalla tecnologia e la solita caccia al vecchio Bourne a dare fascino al film di Greengrass

Redattore su BadTaste.it e BadTv.it.


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Giunta alla quinta iterazione sul grande schermo (la quarta con Matt Damon protagonista, dopo The Bourne Legacy con Jeremy Renner) la saga di Bourne tira le somme di quanto seminato fino a oggi e si riassorbe ermeticamente nel proprio protagonista indiscusso: il titolo, non a caso, è semplicemente Jason Bourne. A che punto siamo?

Se Identity premeva sul disperato recupero di un’identità perduta e Supremacy rimescolava le carte per dettare ulteriori condizioni in Ultimatum, il nuovo film di Paul Greengrass riporta Bourne sul campo consegnandogli la facoltà di non dire, quasi, una parola. Bourne tace per gran parte del film, proprio perché ha concluso un ciclo della sua vita fatto di fiumi di domande e ha interiorizzato definitivamente la propria condizione di eterno apolide, tanto cosmopolita quanto isolato da un mondo che rimane, sempre e comunque, rumore di fondo. Pur senza espandere di molto la vicenda, Jason Bourne è una buona prosecuzione del franchise: scatena sul ring gli ingredienti più classici della saga spostandone il timone sulla cybersicurezza e sull’inevitabile spunto complottistico della violazione della privacy di ognuno di noi, alla mercé dell’intreccio perverso tra geopolitica e spionaggio industriale.

Bourne gioca da sempre in un mondo sporco dove, fin da subito, coloro che avrebbero dovuto proteggerlo lo hanno tradito. L’ex agente dallo sguardo di ghiaccio è il protagonista di un racconto che oscilla ancora una volta tra la spy story e l’action movie mantenendo una coerenza tematica di fondo: l’importanza della memoria, intesa non solo come flusso di ricordi perduti ma anche come capacità di indagine su una vita (irrimediabilmente?) compromessa. Ricordando il proprio passato, Bourne si riconferma un uomo d’azione inevitabilmente irrisolto, destinato a convivere con la propria solitudine come condizione necessaria (ma non sufficiente!) di sopravvivenza. Le sue sfumature caratteriali ridotte all’osso rendono l’ex agente della CIA non più soltanto una scheggia impazzita in un sottobosco di complotti ma anche una macchina da guerra (fisica, e sul campo) in un oceano di duelli cibernetici, dove gli hacker sono i nuovi guerrieri e le battaglie si conducono a colpi di malware. Se nella cyberguerra civile le mosse e le contromosse degli avversari si fanno sempre più fredde e impersonali, la fisicità di Bourne, i suoi cazzotti e le sue funamboliche corse a bordo dei più disparati veicoli ricordano al pubblico che nel mondo, e dunque anche al cinema, c’è ancora parecchio spazio per chi combatte a mani nude, salta e spara.

Greengrass, già regista del secondo e del terzo capitolo della saga, sceglie di non cambiare tutto a qualsiasi costo, nonostante le differenze tra un passato recente fatto di grandi mutamenti e un presente ancora più dominato dalle minacce virtuali. Il suo Bourne funziona ancora abbastanza bene perché non è necessariamente un uomo d’altri tempi, ma perché è talmente impegnato a restare vivo da lasciare che tutto ciò che gli dà la caccia lo sfiori senza ucciderlo. È quasi confortante vedere Bourne riuscire a cavarsela ancora alla vecchia maniera, nonostante ormai sia letteralmente assediato da ogni genere di strumento di controllo che, a rigor di logica, dovrebbe semplificarne di molto la cattura. È anche questa tipologia di azione, fatta ancora di piccoli e diabolici stratagemmi adottati dai protagonisti, a compensare la freddezza dei loro volti tendenzialmente statici, estranei al gioco delle emozioni umane e sempre e solo concentrati “sul pezzo”, senza potersi mai permettere di cedere alla sfera emotiva. Mentre nel film l’idea del mondo interconnesso come più trasparente e più sicuro si sgretola come un castello di carte, Bourne rimane del tutto indifferente e continua inesorabilmente a combattere la propria battaglia personale. In effetti, è proprio questo contrasto tra le nuove minacce di un mondo mutato dalla tecnologia e la solita caccia al vecchio Bourne a dare fascino al film di Greengrass, molto attento a non spettacolarizzare troppo l'azione e a gestire ritmo e tensione al punto giusto, lasciando le porte naturalmente aperte a ulteriori capitoli.

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