Jarhead
1990, prima guerra del golfo. Il marine Anthony Swofford si ritrova in Arabia Saudita a combattere una guerra, anche e soprattutto dal punto di vista personale. Il cocco di Hollywood Sam Mendes torna in azione, ma i risultati non convincono.
Ma per far funzionare uno schema del genere ci vorrebbero delle grandi idee e una notevole dose di originalità, dopo che ognuno di noi (anche se ha fatto il servizio civile), grazie al cinema, sa ormai tutto della vita di un soldato.
Invece Mendes non si fa mancare niente della solita minestra. Istruttore sadico? Ce l’abbiamo. Nonnismo? Ovviamente. Soldati fuori di testa e autolesionisti? Certo.
E lo sguardo del regista lascia perplessi. Molto spesso, è evidente che l’intenzione sarebbe quella di farci indignare, ma alcune scene troppo prolungate in fin dei conti risultano quasi compiaciute.
Non aiutano il tutto dei momenti falsamente poetici (penso soprattutto al cavallo in scena) e una colonna sonora dichiaratamente cool (e quindi poco adatta al – presunto – crudo realismo dell’opera), che passa tranquillamente da Marc Bolan ai Nirvana, dai Talking Heads ai Public Enemy.
Peccato, perché in mezzo a tanto ciarpame, non mancano momenti molto forti e intelligenti. Penso all’utilizzo che viene fatto di classici come Apocalypse Now e Il cacciatore. Così come le interpretazioni dei protagonisti Jake Gyllenhaal e Peter Sarsgaard sono senza dubbio molto efficaci.
E conferma anche il declino artistico di questo autore dal suo ottimo esordio a questo film. Speriamo che non finisca come Orson Welles…