J'Accuse - L'Ufficiale e la Spia, la recensione | Venezia 76
Una ricostruzione pazzesca che si tuffa nei dettagli e indaga con il protagonista fa di L'Ufficiale e la Spia un film unico e magistrale
L’Ufficiale e La Spia è un film che fa sudare gli occhi dalla perizia. La ricostruzione dell’epoca ha un sapore vivissimo, non assomiglia alle solite ricostruzioni morte, materiale da museo in cui tutto sembra imbalsamato, riportato in vita artificialmente come uno zombi ripulito per il tempo delle riprese. Al contrario la Parigi di fine ‘800 di questo film è vivissima, con un tempaccio fastidioso e locali lerci, con strade umide, palazzi polverosi e inservienti fastidiosi. Un eterno scricchiolar di pavimenti in legno e un inferno di faldoni, incartamenti, dossier, fogli e fogliettini minuscoli, lettere e letterine più o meno segrete in cui c’è tutto il segreto della vita e dalla morte dei protagonisti.
Polanski si mette alla testa del pubblico e imprime il passo per una lunga marcia, non corre ma non si ferma nemmeno, sa esattamente a che velocità serve andare per godersi tutto e non annoiarsi mai. L’Ufficiale e La Spia ha un crescendo sapiente in cui gli stacchi tra sequenza e sequenza arrivano sempre un attimo prima di quanto non diresti a tagliare il superfluo. In questa storia è come se ad ogni cambio di scena qualcuno dicesse “Beh andiamo subito al dunque” senza però tutto ciò che sta intorno alla ricerca e serve ad inquadrarne l’importanza, come la vita del protagonista, il mondo antisemita dell’epoca, gli usi e i costumi dei militari e gli amori. Un film difficilissimo che viene completato con una facilità disarmante.