Italians

Anche negli Emirati Arabi e in Russia, gli Italians si fanno sempre riconoscere. Sergio Castellitto e Riccardo Scamarcio non fanno ridere, mentre Carlo Verdone forse dovrebbe prendersi una pausa... 

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Recensione a cura di ColinMckenzie

TitoloItaliansRegiaGiovanni Veronesi
Voci originali
Carlo Verdone, Sergio Castellitto, Riccardo Scamarcio, Ksenia Rappoport, Dario Bandiera

Uscita23 gennaio 2008Il trailer

Per certi film, si ha l'impressione che basterebbe leggere i nomi dei protagonisti e del regista per capire dove si andrà a parare. Per una pellicola come Italians (sottotitolo 'ci facciamo sempre riconoscere'), francamente è difficile aspettarsi sorprese. D'altronde, forse è proprio questo che spiega l'enorme successo di pubblico di prodotti del genere: gli spettatori sanno esattamente cosa vedranno e non chiedono nulla di più.

Il problema è che Veronesi vorrebbe andare oltre, nonostante non riesca neanche a dar vita a uno script senza enormi buchi di sceneggiatura. E butta lì dei riferimenti al poliziesco americano che in teoria sarebbero anche encomiabili, ma che in questo contesto ci stanno come i cavoli a merenda e finiscono per far cadere il film nel ridicolo involontario. Va detto che almeno questa è un'occasione di ridere, cosa che non si può dire dei tentativi dei due episodi.

Per la verità, il primo 'mediometraggio', quello con Riccardo Scamarcio e Sergio Castellitto, di far ridere non ci prova quasi. Castellitto sembra avere le stesse motivazioni del suo personaggio (ossia, fare soldi costi quel che costi), mentre Scamarcio è quasi passabile, ma con un personaggio nel genere neanche Edward Norton avrebbe potuto fare miracoli (tra l'altro, se qualcuno ci spiega perché a tratti parla un buon inglese, mentre in altri momenti non capisce due parole di questa lingua, ci fa un favore).
Comunque, anche a me (così come ai protagonisti) questo episodio ha suscitato delle domande esistenziali. Per esempio, perché tutta questa ricerca di cui ci si pavoneggia nel pressbook, se poi lo sguardo sul mondo arabo è sciattissimo e senza nulla di veramente profondo? E il telefonino che si connette nel deserto a Internet è un'esigenza di sceneggiatura o è il solito becero modo di far vedere lo sponsor (peraltro, ma perché noi italians il product placement lo facciamo sempre da schifo?)? E bisogna veramente sottotitolare anche dei dialoghi in inglese alla Nando Moriconi (il pubblico italiano non capisce 'my son'?)? L'impressione, insomma, è che se lo avessero intitolato 'Natale a Dubai', tutta questa differenza con un cinepanettone non l'avremmo notata (e magari ci sarebbe stata un po' di spocchia in meno, senza la 'filosofia del mutuo'). Di sicuro, un Neri Parenti una corsa automobilistica la saprebbe girare (e soprattutto montare) meglio di così.

Per quanto riguarda il capitolo con Carlo Verdone, si ride un po' di più, ma anche la tristezza non manca. Mi riferisco al dispiacere di vedere un attore/autore storico nel cinema italiano degli ultimi trent'anni che, chiaramente, negli ultimi anni non sa bene dove andare a parare. Riciclare i suoi personaggi nevrotici/impasticcati/depressi? Sì. Buttarla sul malinconico? Sì? Voler cercare di fare l'attore drammatico? Sì. Il problema è che non si può fare tutto questo in un film (a meno che non si sia il Woody Allen dei tempi d'oro) e sicuramente non in una stessa scena (come quella, orribile, in cui il protagonista è disperato per dei fatti a cui ha assistito e poi deve... cacare (neanche fossimo in una pellicola con Boldi). Le risate poi sono tutte legate al sesso, ma a questo punto aridateci Alvaro Vitali e le docce di Edwige Fenech. Anche perché se quella che poteva essere una scena scatenata (anche se tutt'altro che originale) sessual/violenta viene girata male, c'è poco da fare. Per il resto, Ksenia Rappoport e Dario Bandiera hanno sicuramente due personaggi mediocri (il secondo è proprio assurdo), ma certo non fanno molto per risollevarli. E se dal secondo non mi aspetto grandi cose, continuo a non capire come la prima possa essere così stimata dalla critica. A tutto questo, aggiungiamo anche la visione folle dei russi (con i mafiosi che sparanno all'impazzata in giro, vabbeh) e un finale stratelefonato (ma anche straallungato), in cui le consuete, pallosissime crisi esistenziali dei 40/50enni italiani si concludono sempre con la fuga dalla realtà.

Morale della favola? Una pellicola che vorrebbe fustigare i vizi italioti diventa in realtà un modo per mostrare il cuore grande dei nostri connazionali. Ma non ci bastava, in questo senso, l'impegno di Raffaella Carrà? Il problema è che siamo di fronte al solito cinema piatto e che non si prende nessun rischio. E pensare che titoli come I mostri all'epoca venivano considerati ruffiani. La realtà è che ci manca enormemente un Dino Risi. E Giovanni Veronesi, anche se vorrebbe tanto, non lo è proprio...

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