IT, la recensione
Bilanciato tra l'orrore e il culto dell'amicizia, in difficoltà quando deve normalizzare la sua minaccia ma sostanzialmente riuscito, IT è un piccolo gioiello
Il primo capitolo di IT girato da Andy Muschietti si è proposto fin dall’inizio come il contrario, come una versione estremamente fedele del romanzo (per quanto necessariamente ridotta), trasportata agli anni ‘80 da che era ambientato nei ‘50 (eredità che si percepisce nel tipo di razzismo un po’ demodé nei confronti di Mike).
Atteso al varco su una serie di elementi, primo dei quali la resa dell’incarnazione più famosa di IT, il clown Pennywise, il film di Muschietti fa un lavoro molto ordinario sulla paura ed è semmai altrove a stupire: nella maniera sofisticata in cui i ragazzi interagiscono, nella passione per i piccoli gesti e nell’abilità non comune di lavorare addirittura sulla poesia e dargli un senso in una storia per ragazzi. Muschietti è così bravo con il cast e con l’adattamento delle pagine e dei dialoghi che al suo film sembra possibile fare tutto, trovare la presa in giro come la tenerezza, l’amicizia, le pulsioni, l’odio e la rabbia.
La vera virtù di IT è infatti il suo carico di rabbia. È il primo film tratto da King che sembra venire dal medesimo rabbioso desiderio di condanna dello scrittore. L’orrore in King non ha origine tanto dalle fobie o dalle ansie, ma dall’odio che questo scrittore ha per certi atteggiamenti umani. Come nelle sue storie, specie quelle più vicine agli esordi, anche questo film riesce a trasferire allo spettatore una rabbia e un odio profondi nei confronti delle comunità piccole e bigotte, per la violenza psicologica e fisica degli uomini su altri uomini. È una carica così tangibile da far sembrare plausibile qualsiasi efferata violenza o presenza demoniaca. Non è in fondo assurdo che esista il maligno o il demoniaco in un mondo in cui gli esseri umani sono così infami.
Scacciato per tutto film, l’adagio per il quale King va tradito per essere rispettato chiede il conto verso la fine, quando IT inizia a mostrare i propri limiti. Nella storia tutto viene dalla paura, ogni malvagità e ogni violenza nasce lì, anche gli adulti o i bulli si comportano nelle maniere peggiori per paura (di perdere una figlia, delle malattie, dei loro genitori, dell’inadeguatezza…), e la paura è ciò che rende i ragazzi vittime di IT. Nel momento in cui cercano di vincerla si capisce che l’idea di Muschietti è di ridurre la potenza dell’impatto spaventoso della creatura, di normalizzare la presenza di Pennywise e renderla più ordinaria, cioè spaventare meno il pubblico. Visivamente però questa revisione è un territorio ambiguo, in cui il film perde molto del suo afflato e sembra quasi tirare lo spettatore fuori dalla sospensione, non riuscendo più a coniugare la profonda epica della lotta contro il male, con una sua visione non paurosa, ma consapevole e coraggiosa.
Talmente tanto che IT è il genere di film in cui si desidererebbe passare quanto più tempo è possibile con i protagonisti, in cui si vorrebbe vivere con loro anche se la loro è una vita terribile, in cui se non si è picchiati o tagliati dai bulli si è uccisi da un mostro.