It Ends With Us - Siamo noi a dire basta, la recensione

Si capisce che It Ends With Us ha le caratteristiche giuste del melodramma classico ma questa versione di Baldoni è insufficiente

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione di It Ends With Us, il film con Blake Lively tratto dal romanzo di Colleen Hoover, in sala dal 21 agosto

È difficilissimo fare il regista e l’attore contemporaneamente, specialmente se si ha un ruolo primario, specialmente se questo è un ruolo fisico. La cosa molto difficile è riuscire a guardarsi da fuori, dirigersi e capire quali sono i modi migliori in cui il proprio corpo va usato, ripreso e gestito in scena. Quello che fa Justin Baldoni in questo film è un compendio di come non farlo. It Ends With Us è la storia di Lily, interpretata da Blake Lively, in cui Ryle (interpretato da Baldoni) è uno dei poli sentimentali, quello a cui è più legata e con cui vive la fase di travolgente corteggiamento, intensa passione, incredibile unione e tutti i superlativi del caso. Ed è attraente, la sua caratteristica è di sembrare l’uomo perfetto. Baldoni non lo è, né riesce a gestire la sua immagine per diventare l’uomo perfetto. Per tutto il tempo appare come il minaccioso antagonista, quello dalla bellezza sexy ma poco rassicurante e molto pericolosa.

Non c’è solo questo però, tutto il film è sbilanciato, troppo dilatato nella prima parte (in cui vengono impostati i caratteri) e poi rapido e sbrigativo nel finale; poco attento alle parti ambientate nel passato, la cui costruzione emotiva è cruciale per il presente, e quindi non eccessivamente efficace quando, nella vita di questa donna che ha amato follemente da giovane un ragazzo che non ha più visto, lo vede piombare nella sua vita adulta proprio quando sembra finalmente aver trovato un’altra storia ideale da vivere a pieno. Quello è il momento cruciale di ogni melodramma, quello in cui il tempo diventa un attore, ha un ruolo e si oppone alle possibilità di felicità della protagonista, e sembra depotenziato.

Avrebbe avuto bisogno sicuramente di una scrittura migliore It Ends With Us, ma avrebbe avuto bisogno anche di un regista più esperto. La trama, che viene dal romanzo di Colleen Hoover, si capisce che ha del potenziale, ha delle svolte interessanti e cerca una complessità che altrove non si trova. Qui però non c’è solo la cattiva gestione dello stesso Baldoni, ma anche la recitazione di tutti gli altri attori è grossolana. Invece che cercare le sfumature, si punta sempre sulle stesse espressioni: il sereno sorriso di Blake Lively con cui comunica sia tranquillità che preoccupazione che sentimenti sofferti; le sopracciglia dispiaciute della migliore amica che vive in un costante stato sovreccitato e al tempo stesso in pena; il ridicolo fidanzato di lei; le loro tristi versioni giovani (anche se poi si innamorano!).

In un film come questo, in cui al centro di tutto ci sono le scelte sentimentali di una donna in una trama che ne mette alla prova la capacità di afferrare l’amore vero in mezzo a molte possibilità, uno che non ha come obiettivo di riscrivere il genere ma anzi di centrare tutti i punti della lista e usare il potere evocativo della formula per poi costruire un secondo discorso che compare nel finale, la recitazione è un po’ più cruciale del solito perché tutto è finalizzato a quello, a esternare di un sentimento che deve accoppiarsi con quello che esiste dentro lo spettatore e in questa identità scatenare la commozione. Ma come si può sentire identità con qualcosa recitato così dozzinalmente?

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