The Iron Lady, la recensione
La donna dietro il primo ministro, con bonario spirito critico e un po' di complimenti ipocriti. Il film di Phyllida Lloyd è tanto scialbo quanto ordinario...
Phyllida Lloyd non evita nemmeno una di tutte le più classiche trappole del cinema biografico, anzi le abbraccia e realizza la quintessenza del genere, un film su una personalità determinante del mondo della politica, che si disinteressa delle sue opere e cerca di scoprire l'ordinarietà del personaggio, la donna dietro il primo ministro. E lo fa con l'intento di commuovere.
Con un copione più che ordinario scritto da Abi Morgan (già al fianco di Steve McQueen per la sceneggiatura di Shame), The Iron Lady parte dall'oggi, da Margareth Thatcher anziana che lotta contro la demenza senile e le allucinazioni di un marito morto da tempo con la tenacia che gli viene da sempre attribuita. Non completamente impazzita nè completamente in sè la protagonista ricorda episodi determinanti del suo passato, gli insegnamenti del padre, la decisione di lavorare nella politica, l'incontro con il marito, lo sforzo di candidarsi a leader del partito e l'inaspettato successo, oltre a tutti gli snodi determinanti degli anni a Downing Street, dalle Falkland allo sciopero dei minatori, dall'attentato al boom economico. Ogni ricordo è coperto da una calza, proprio come nelle parole degli anziani, ogni cosa è letta alla luce di quel che sarebbe successo in seguito.
Inoltre, senza dirlo mai, Phylida Lloyd lavora molto d'immagine per far fare agli oppositori del primo ministro un controcanto a volte più forte del canto. Le immagini di proteste, riot, scioperi, scontri e tumulti dovuti alle decisioni estreme del governo occupano uno spazio ben più importante e determinante delle motivazioni per le quali la Thatcher ha agito. Una donna che non è amata nemmeno dai propri biografi.