Irma Vep - La vita imita l'arte: la recensione della serie

La serie che segue film di Irma Vep del 1996 racconta proprio questo, di una serie che segue un film di Irma Vep in un gioco di scatole cinesi che non gio

Critico e giornalista cinematografico


Condividi

La recensione di tutti gli episodi di Irma Vep - La vita imita l'arte, disponibile su Sky dal 3 agosto

Stranieri in una strana città che hanno a che fare con personaggi strani”, viene detto ad un certo punto in Irma Vep e forse è la sintesi migliore di quale sia il punto della serie ma in fondo anche dell’omonimo film del 1996 che questa serie prosegue. C’è sempre Olivier Assayas alla guida e siamo sempre dalle parti del metacinema, fare il punto dello stato dell’industria tramite una storia di un film nel film, o in questo caso di una serie nella serie. Assayas trasforma un suo film in una serie in cui un regista rifà un suo film trasformandolo in serie. Questa volta quindi il referente è proprio lui, Irma Vep ha lui al centro, il regista del film del 1996, quello che si stava innamorando della protagonista asiatica che qui è sostituita da un’americana. Quell’attrice del 1996 era Maggie Cheung (nei panni quasi di se stessa), che nella serie appare brevemente, interpretata da Vivien Wu, in un sogno del regista nel quale finalmente può parlarle dopo che (nella finzione ma anche nella realtà) i due sì sono lasciati nel 2001 e lei dopo poco sì è ritirata dalle scene all’apice della carriera. 

Ci si può insomma perdere nel gioco di rimandi e nella profondità della rincorsa di questa serie alla messa in scena di una realtà poi continuamente romanzata e modificata. E forse è anche la parte meno interessante di tutte. Il punto più che mai stavolta è lo scenario. C’è una produzione che sta realizzando una serie da Les Vampires, un vero film muto del 1915 in dieci episodi da circa 70 minuti l’uno (quindi praticamente una serie dell’epoca), non incentrato sui vampiri come li intendiamo noi ma su una gang di ladri detta “i vampiri” e su Irma Vep, una femme fatale inguainata in una tuta nera, figura all’epoca così potente da dare notorietà al temine “vamp”. 

Le differenze tra Irma Vep film e Irma Vep serie

La serie girata in Irma Vep invece ha una protagonista straniera, un’americana (Alicia Vikander), che come nel film del 1996 viene da un’industria di blockbuster per realizzare un prodotto d’autore e incarna il contrasto tra quelle due anime del cinema. In più rispetto al film c’è un allargamento della parte sentimentale (con molti più incroci omosessuali) e poi ovviamente il fatto che venendo dopo il film fa riferimento alla sua esistenza, integra quella storia nella nuova storia che sembra ricalcarla (c’è sempre una costumista ad esempio che intreccia una relazione con l’attrice).

Tuttavia Irma Vep davvero non si avvicina nemmeno al film, è cinema d’autore allungato, locuzione che in sé non è una grande promessa. Come sempre Assayas scrive molto bene e gli episodi si lasciano guardare con piacere. Però c’è una tale sudditanza riguardo il film del 1996 (anche perché la serie vuole raccontare i meccanismi dell’industria nei quali rientra anche che ogni sequel deve replicare il suo originale allargandolo) che si traduce in un peggioramento di quel che l’aveva reso miracolosamente un cult. Tutte le idee migliori ne escono diluite perché nascevano immaginate per la brevità del film e non per la lunghezza della serialità. Anche la trovata visiva più potente, quella dell’attrice attratta dalla tuta nera del suo personaggio che quando la indossa fuori dal set viene presa dal desiderio di comportarsi come Irma Vep e gira per i tetti di Parigi, finendo addirittura per rubare, quando è ripetuta e ripetuta più volte nella serie perde la sua forza (anche perché Alicia Vikander non ha proprio il corpo e le movenze di Maggie Cheung, ma del resto chi al mondo li ha?).

È semmai più interessante vedere come Assayas usi il proprio alter ego per prendersi in giro anche grazie alla scelta del grande Vincent Macaigne per la parte (“Non è una serie! È un film. Un film ad episodi ma sempre un film, io non faccio serie!” gli fa dire), e non per parlare dell’autorialità e del ruolo dei grandi autori. Un cambiamento epocale rispetto al film. Quando nel girava Irma Vep nel 1996 era attivo da dieci anni e si permetteva una riflessione sulle generazioni di autori precedenti alla sua (il personaggio del regista era interpretato dal volto per antonomasia della Nouvelle Vague, Jean-Pierre Léaud), parlava di un regista una volta grande, che non si integrava più nell’industria e non riusciva a dirigere un film decente, finendo però con un colpo di coda clamoroso, una rivendicazione di autonomia artistica radicale e solitaria, fuori dall’industria e dentro l’eversione. QuestoIrma Vep invece è una storia di sistema che cerca ancora di rappresentare la maniera in cui il grande e il piccolo convivono ma non ha proprio niente della riflessione sullo stato dell’autorialità.

Alicia Vikander vs. Maggie Cheung

In Irma Vep del 1996 si parlava di Batman - Il ritorno, di Terminator 2, di John Woo, del cinema fantastico e dei film di Jackie Chan. Chi prendeva parte alla produzione di quel film d’autore nel film era tutta gente che discuteva quelle produzioni giganti in realtà (c’era anche chi girava con le magliette di Terminator). In Irma Vepseriale del 2022, seguiamo invece meglio la carriera della protagonista, le offerte che riceve dall’America, le scelte che deve fare tra arte e industria e come veda quelle due anime del proprio lavoro. E quello tra cinema di genere e d’autore del resto è un binomio fortissimo in Assayas stesso che nella sua carriera ha diretto entrambi (Carlos ad esempio è cinema criminale altissimo) ma poi è anche da sempre affascinato dalle attrici, tanto che negli ultimi anni ha girato molte storie con protagoniste che fanno quel lavoro, esplorandone la vita fuori dal set. E se c’è qualcosa che accomuna la sua visione è che poi queste attrici siano sempre migliori dei film che fanno. Così è anche la Mira Harberg di Alicia Vikander, interessata, ricettiva, capace di esplorare il contesto nuovo in cui sì trova (l’industria audiovisiva francese) senza lasciarsi abbattere dal fatto che la serie che sta girando (ne vediamo periodicamente le immagini) sia bruttissima.

In questo senso la serie è molto più in linea con quel che sta facendo oggi Assayas, ma al tempo stesso è anche una gigantesca dichiarazione d’impotenza della produzione televisiva rispetto a quella cinematografica. InIrma Vep, il film, non si faceva che parlare di immagini e di trovare le immagini giuste (erano anche altri tempi e quella rappresentata era una generazione degli anni ‘70 almeno), qui invece non si parla mai di trovare una voce e una visione. Del resto Irma Vep, il film, era davvero pieno di immagini clamorose che qua o non ci sono o non tornano o se tornano non sono a livello. La stessa grazia infinita di Maggie Cheung, che reggeva su di sé un film intero, pronto ad ammirarla attraverso gli occhi del regista che se ne stava innamorando (si conobbero su quel set e due anni dopo si sarebbero sposati) non era intaccata dall’indossare un costume di latex, anzi ne usciva stranamente potenziata. Quella era la parte più incredibile, irrazionale e potente del film: ammirare un’attrice dai movimenti pazzeschi, dalla leggerezza infinita e dalla presenza unica in una composizione inusuale che lei rendeva appropriata, a cui dava un senso con il proprio corpo. Alicia Vikander in un costume in tutto e per tutto simile decisamente non fa lo stesso effetto, non trasforma le scene con la propria presenza e questo ammazza tutto.

Privato della parte più evocativa e astratta della sua idea, Irma Vep rimane un copione, ben scritto ovviamente, scorrevole e pieno di dettagli interessanti sul mondo audiovisivo (come anche il film del 1996, rivisto oggi, rivela), che forse è la sintesi della sudditanza che la serialità televisiva ha nei confronti del cinema: essere molto più ampia e accattivante ma non poterne avere la medesima capacità di sintetizzare tantissimo in un pugno di immagini memorabili.

Continua a leggere su BadTaste