Irish Wish, la recensione

Film di Natale senza Natale, Irish Wish mette in pratica la lezione del cinema meno femminista possibile e la impreziosisce con Lindsay Lohan

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione di Irish Wish, il film con Lindsay Lohan disponibile su Netflix dal 15 marzo

È di nuovo Natale. Almeno su Netflix. Almeno in Irish Wish, che ha esattamente tutte le caratteristiche del peggior cinema natalizio (anche se non si svolge a Natale), quello girato in fretta e furia su un canovaccio per nulla sviluppato, in cui una serie di star più o meno fuori moda e fuori dal giro del cinema che conta sono coinvolte in un’avventura in teoria in grande stile, nella pratica a basso costo. Del resto è scritto dalla sceneggiatrice di In tempo per Natale e Il Natale che ho dimenticato, Natale a Nantucket e Return at Christmas Creek, e diretto dalla regista di Falling For Christmas. Cinema di grandi vedute e grandi aspirazioni, che sogna l’abito bianco, cinema di castelli e auto sportive, nobiltà e donne che lottano per agganciare il ricco ereditiere. Tutto per promuovere “valori tradizionali” (le due parole più belle a Natale) in una cornice che grida riccanza, buona per foto di influencer.

E solo su Netflix qualcosa del genere è vedibile, solo cioè se compresa in un prezzo già pagato si può accettare una visione disincantata e divertita di un film che nasce con le peggiori intenzioni e viene poi realizzato con il minimo dell’impegno. Un film che ci arriva grazie alla generosità del tax credit irlandese e della sua film commission, ampiamente ricompensati con continue panoramiche di droni sulle bellezze naturali del luogo. La storia è quella di una editor di una casa editrice innamorata del romanziere di successo di cui cura i libri (di fatto scrivendoli lei), che invitata al matrimonio di lui con una sua amica desidera di essere lei la sposa. Una santa (santa Brigida!) la ascolta ed esaudisce il desiderio. Di colpo è lei la sposa, ha quello che vuole ma scopre che c’è invece un altro uomo, un fotografo di uccelli (nessun doppio senso voluto), che è il vero amore.

Che le cose si mettano bene per lo spettatore desideroso di un po’ di divertimento alle spalle del film lo si capisce già alla prima scena, alla presentazione del romanzo, quando l’artista che ha realizzato una terribile copertina riceve dei complimenti e quando la lettura di alcune righe fa capire che è terribile, ma tutti (film incluso) lo considerano fantastico. Il resto sarà una sequela di terribili trasparenti (uno in un taxi è onestamente peggiore di quelli dei film italiani degli anni ‘70) o di fotografie fotomontate che il film continua a inquadrare come se non ne vedesse il pessimo artificio.

In tutto questo anche Lindsay Lohan incarna il brand del raffazzonato, con un paio di occhiali che dovrebbero renderla un intellettuale che non crede nella sua bellezza, una specie di fiore nascosto, con i capelli curati ma gli occhiali che la nascondono. Perché qui il punto è sempre la protagonista e la veicolazione di un’idea di donna (e di rapporto con l’uomo) che si basa sulla bellezza ed è diretta a compiacere per piacere. Tutte le ragazze della storia sembrano considerare infatti normalissimo fare ogni cosa per piacere ad un uomo, perché (emerge dai dialoghi e dagli atteggiamenti) quella è la realizzazione definitiva, suggellata dal più forte degli agganci possibili: il matrimonio.

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