Io sono Mateusz, la recensione

C'è tutto quello che ogni spettatore vorrebbe sentirsi dire in Io sono Mateusz: la peggiore delle storie narrata con il più lieto degli atteggiamenti

Critico e giornalista cinematografico


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Nella storia finta di Mateusz (ispirata a quella vera, mantenendo premesse ed esito finale ma mescolando tutto quel che sta nel mezzo), un ragazzo disabile e incapace di comunicare, che nasconde un mondo dentro di sè in attesa che arrivi qualcuno a credere che sia più di un vegetale, c'è la precisa volontà di mettere in scena il meglio della vita partendo dalla più amara delle storie. C'è la precisa intenzione di mettere in scena il sole.

Il film si svolge lungo circa 20 anni di storia polacca e non c'è mai un giorno di pioggia o anche solo nuvolo, anzi, il sole è una componente determinante di quasi tutte le inquadrature. Illumina il volto di Mateusz alla finestra, batte contro il pavimento sul quale striscia, riempie di luce le stanze degli ospedali e spesso viene inquadrato direttamente tra le fronde in meravigliosi pomeriggi d'estate polacca. A Maciej Pieprzyca non piace il grigio della realtà o la mestizia della vita vera e li scaccia via a colpi di meravigliose giornate di sole in un film che si propone di guardare con ottimismo gli eventi più tristi. Il titolo originale non mente: Life is good (per l'italiano si rischiava un'omonimia fastidiosa e si è così scelta la locuzione più tipica per i film sui disabili).

Nelle grandi giornate di sole Mateusz, che per la sua condizione potrebbe apparire come il simbolo stesso della morte (non si esprime, non parla ed è ritenuto incapace di pensare razionalmente) fa solo cose vitali come guardare le tette delle donne. Solo noi lo sentiamo esprimersi tramite la sua voce interiore, commenta ciò che accade, ci spiega il suo rapporto con madre, padre, fratello e sorella nonchè la sua filosofia di vita e la maniera in cui vede ciò che lo circonda. Che lo veda da terra (è l'unico a sapere dove stia la spilla che la madre ha perso sotto il divano ma non può dirlo) o da una finestra, è sempre appostato meglio degli altri per capire cosa accada, spiare i vicini o addirittura tentare di ucciderli se lo meritano. Nella più difficile e dura delle condizioni Mateusz sembra avere tutte le opportunità del mondo e una vita tutto sommato rosea, viste le sue condizioni, nell'assolata e tranquilla Polonia comunista degli anni '80 e '90. Un luogo da villeggiatura.

È facendo appello ai sentimenti migliori e raccontando le persone più splendide (c'è un breve montaggio di momenti con il padre che è un gioiello di retorica per immagini) che Io sono Mateusz "compra" gli spettatori. La moneta con cui li paga è una visione migliore della realtà, la possibilità di guardare una storia (più o meno) vera e credere che possa essere stata così bella, nascondendo le parti peggiori e mettendo in risalto solo la strada in discesa, tradendo addirittura anche il suo contesto prima metereologicamente e poi storicamente.
L'esatto contrario di Lo scafandro e la farfalla, l'incredibile film di Julian Schnabel che, partendo da presupposti simili (un essere umano intrappolato nel suo corpo, incapacitato ad esprimersi), è ben più radicale e drastico nelle scelte (non solo il punto di vista quasi solo in soggettiva ma anche l'angoscia di una vita diversa e peggiore rispetto a quella condotta prima dell'incidente). È la differenza tra prendere di petto persone, eventi e asperità e rifugiarsi in una storia che come Mateusz è imprigionata in un film che si esprime per lei, a zucchero e canditi.

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