Io sono l'abisso, la recensione
Di nuovo il nord malvagio, stavolta più carico ed espressionista, per Donato Carrisi che ha più problemi di recitazione che di fotografia
La recensione di Io sono l'abisso, il film di Donato Carrisi in sala dal 27 ottobe
Come abbiamo visto accadere anche nei film precedenti di Carrisi, Io sono l’abisso lavora moltissimo di messa in scena, carica molto gli ambienti e cerca di creare una dimensione prima di tutto visiva che concretizzi la minaccia, la tensione e la suspense. La scenografia unita alla fotografia è anche fondamentale ma di nuovo affossata dal fatto che nessuno tra gli attori che riempie le immagini è diretto bene. Sono buoni nomi del cinema italiano che non riveliamo non perché sia un segreto ma aderendo alla richiesta esplicita dell’autore di non nominarli per rendere più realistiche le vicende narrate (anche se sarebbe facile rispondere che quando la recitazione è buona tutto sembra già sufficientemente realistico). Ad ogni modo come nel cinema peggiore più i toni si alzano, più c’è da caricare le battute, peggio si finisce fino alla medaglia al valore della cattiva recitazione: l’urlo disperato senza enfasi.
Tuttavia anche il desiderio più sfrenato di divertirsi un po’ e basta davanti a Io sono l’abisso si infrange di fronte ad un’umanità ritratta con una serietà che avrebbe meritato altro trattamento. Il mondo del film è uno in cui per chiunque vivere è un peso, una tragedia da cui cerca volente o nolente di uscire tramite la morte o la cosa che più ci si avvicina, materia in teoria ottima e potenzialmente incendiaria (visto che siamo un generico nord Italia lacustre ben caratterizzato) ma la maniera in cui tutta la confezione mette insieme l’abbinamento peggiore possibile, quello cioè tra grandiosità delle ambizioni e fiacchezza dei risultati, lo condanna a parlare senza dire davvero niente.
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