Io e mio fratello, la recensione

Un copione blando, generico e senza qualità diventa in Io e mio fratello un film che si batte contro tutti i suoi difetti

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione di Io e mio fratello, il film di Luca Lucini disponibile su Prime Video dal 21 aprile

Chi lo sa se vedremo mai Luca Lucini dirigere un film o un progetto che pienamente ne esalti le doti di regista. Fino ad oggi non è mai successo e tutto quello che di molto buono ha fatto vedere in termini di capacità di creare un’atmosfera, un mood e di gestire tempi, recitazione e dimensione visiva, l’ha fatto lavorando su copionacci e sceneggiature nel migliore dei casi formulaiche (era il caso dell’esordio Tre metri sopra il cielo, in cui gestiva benissimo un copione commerciale di grande efficacia). Io e mio fratello non fa eccezione. La sceneggiatura scritta da Marta e Ilaria Storti e dallo stesso Lucini è grossolana e molto blanda, nel migliore dei casi tarata sulle solite questioni e i soliti intrecci, nel peggiore votata ad una idea di commedia da macchietta (specialmente quando tira in ballo i parenti).

È semmai la maniera in cui Lucini trasforma in immagini quel testo che cambia molto (ma non tutto). Al centro c’è il classico viaggio verso il meridione, che poi è sempre anche un viaggio dalla città alla provincia, dalla vita moderna e disumana a quella tradizionale e umana, di una ragazza che torna da dove si è spostata dieci anni prima per impedire il matrimonio del fratello. Questo viaggio però non ha la pasta del ritorno al passato. Nonostante la Calabria sia uno dei territori più legati a quell’idea di ritorno al passato Io e mio fratello ne fa un luogo opposto a Milano (anche perché quello è il senso che ha nella trama) ma non per questo tradizionale, scenograficamente diversa dal solito, mai smaccatamente anti-urbana e soprattutto contemporanea.

Lungo tutto il film c’è il solito ottimo ritmo della messa in scena di Lucini, uno che fa digerire qualsiasi cosa, e anche quando Io e mio fratello getta la maschera e svela di non essere un film sulla sessualità ma un film matrimoniale, cioè uno il cui vero argomento è la negoziazione del senso sentimentale del matrimonio nel contesto attuale, questo è ben messo in armonia con le altre linee di trama. La cosa è stupefacente soprattutto perché una delle due protagoniste, Greta Ferro, non funziona per nulla, interpreta un personaggio generico che potrebbe stare ovunque e non riesce mai a dargli personalità attraverso la recitazione; invece Denise Tantucci dà forma ad una protagonista interessante, la lavora e riempie di dettagli e questioni identitarie. La loro chimica però è nulla e la loro attrazione mai credibile perché priva di qualsiasi tensione.

C’è un conflitto evidente tra una scrittura che spinge sul tradizionale e inserisce tutte le convenzioni possibili e poi una regia contemporanea che lavora per superare queste convenzioni visivamente. La cosa sarebbe anche buona ma davvero non è possibile scrivere così i conflitti dei personaggi, gli eventi e le solite questioni e solite dinamiche che affossano qualsiasi desiderio di Io e mio fratello di essere migliore di quanto non sia.

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