Io e Lulu, la recensione

Con scarso riguardo per ciò che non serve al protagonista, Io e Lulu è il classico veicolo per il proprio attore ma diretto dall'attore stesso

Critico e giornalista cinematografico


Condividi
La recensione di Io e Lulu, al cinema dal 12 maggio

Non è facile dirigere se stessi. Specialmente se si è protagonisti del film. Specialmente se il film è pensato per mettere in luce se stessi come attori. Bisogna conoscere così bene il proprio corpo e avere una cognizione così precisa di come funzioni una volta ripreso da non necessitare nessun occhio esterno e sapersi posizionare nello spazio sempre bene. La cognizione che Channing Tatum mostra di avere di se stesso è più o meno di un uomo seduto al tramonto, di un corpo pensato per attirare, di un feticcio da ammirare, calamita per diverse donne lungo il film, più che dispositivo attraente per quel che fa. È così che attraversa Io e Lulu: trattandosi come un oggetto del desiderio.

Non è però la parte più grave di questo esordio alla regia che desidera molto vincere facile con la storia on the road (diverse location = diversi personaggi incontrati = diverse avventure senza bisogno di un grande intreccio) con cane, in cui con poca originalità i traumi dell’umano si riflettono in quelli del cane, entrambi impiegati dall’esercito e ora in grande difficoltà nel reinserirsi nella società. Sono una coppia squilibrata costretta a stare insieme, come sempre è con i cani il punto dell’interazione sono i problemi infernali che causano, che poi è anche il medesimo motore che scatena l’affetto, in cui quel che viene detto sul cane e la sua instabilità capiamo valere anche per il padrone.

Poteva essere una maniera di ricalcare la dinamica vincente di Il cavaliere elettrico (con la guerra al posto dell’essere invecchiati e consumati dall’industria dello spettacolo), invece Io e Lulu sceglie un territorio scivoloso con scarsa voglia di stare attento. Il confronto tra il soldato che non può tornare sul fronte perché troppo danneggiato e l’America moderna è una continua presa in giro di hipster e idee moderne (come la mascolinità tossica) e quando per fare un po’ di umorismo Lulu, abituata al lavoro in Afghanistan, vede un uomo vestito come quelli con cui si confrontava lì lo assale. Questa trovata poteva essere usata in molti modi (Lulu è stata trasformata in un’arma? È questa la visione che lo stato le ha dato e dalla quale non si può liberare?) e invece è solo umorismo. Il cane riconosce una persona di cultura araba dall’abbigliamento, lo assale e si ride, senza farsi domande.

È chiaro che qui il punto è creare fascino attorno a Tatum, soldato duro e palestrato, che rimorchia facilmente e stupisce quando questo non avviene, uomo rude di grande sensibilità (dimostrata come detto dal fatto che guarda tramonti con malinconia), anima dolce che ha incubi notturni consolati solo dal cane, una specie di bomba emotiva che però sembra meno efficace di come sarebbe potuta apparire qualche anno fa. Tuttavia la visione non problematizzata del soldato, ma anzi i continui riferimenti a cosa abbia fatto in missione che non vengono esplorati sembrano, quelli sì sono un problema più ingombrante di quanto non sarebbero stati se non li avessimo visti.

Continua a leggere su BadTaste