Io Danzerò, la recensione
Animato da uno spirito carnale ammirabile ma anche vessato dalla consueta ammirazione e sudditanza dei biopic, Io Danzerò non riesce mai davvero a superare il convenzionale
Quello che oggi sarebbe un perfetto video virale (ne ha tutte le caratteristiche di attrazione e performance) ieri era uno dei molti corti che intrattenevano gli spettatori nelle prime proiezioni di immagini in movimento, colori in cambiamento ed esseri umani nell’atto di fare qualcosa di clamoroso.
Certo non parla di cinema Io Danzerò, però per l’appunto così nota è la performance filmata di Loie Fuller (e le sue imitazioni) che il cinematografo incombe in questa storia di ossessione e ricerca, di proiezione dei propri sentimenti sulla persona sbagliata (la ballerina Isadora Duncan) e di massacro del fisico alla ricerca di qualcosa che lo trascenda, nel sacrificio per qualcosa di superiore, come se le due cose (la carne che deperisce, soffre e subisce dolore, e l’elevazione artistica) non potessero essere che vincolate.
In questa sceneggiatura così concreta, fatta di carne, malessere, dolore e tantissimo sudore si sente la mano di Thomas Bidegain, sceneggiatore di Audiard (con cui ha scritto Un Profeta, Ruggine e Ossa e Dheepan), di gran lunga la parte migliore di quello che per il resto somiglia troppo al consueto cinema biografico, in prima linea quando si tratta di santificare, attivissimo nella correttezza della ricostruzione, corretto nel rispetto della mitologia dell’artista e infine troppo pigro quando è il momento di creare, inventare e permeare quel che mostra di un senso che vada oltre l’ammirazione di una personalità artistica.