Io che Amo solo Te, la recensione

Matrimoniale, solare e lieto, Io che amo solo te non è banale per questi motivi, che appartengono al suo genere, ma perchè sceglie di somigliare agli altri

Critico e giornalista cinematografico


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Marco Ponti sembra seguire il suo pubblico, quello acchiappato in giovanissima età con Santa Maradona e poi accompagnato di anno in anno, di decennio in decennio proponendogli sempre storie adatte alla sua età.

È arrivata ora la fase matrimoniale, in cui Riccardo Scamarcio e Laura Chiatti (già protagonisti di Ho voglia di te, sequel di Tre metri sopra il cielo con il quale Ponti non aveva niente a che fare ma appartenente a quella medesima ondata di cinema adolescenziale cui l’autore prese parte) sono una coppia ad un passo dal matrimonio, molto poco convinta ma comunque quasi “in dovere” di compiere quel passo. Il film racconta i giorni che precedono quello fatidico, i dubbi, le costrizioni, le famiglie e poi ad un certo punto scarta per concentrarsi su un’altra storia sentimentale e allargare il suo spettro.

Nonostante la scelta di una doppia storia d’amore il film sembra lo stesso non voler sorprendere nessuno

Film corale che cerca di attrarre quanti più attori possibili nel ruolo di protagonista, che opera un turnover deciso sotto i riflettori e che nello scenario di un grande matrimonio pugliese incastra diverse storie, Io che amo solo te sa bene cosa vuole. Peccato che l’intensità e l’energia che dovrebbero alimentare tutto questo movimento sono scarse. Nonostante la scelta di una doppia storia d’amore il film sembra lo stesso non voler sorprendere nessuno, pare mettere tutto se stesso nell’inseguire ciò che gli spettatori già conoscono e rifiutare di farsi “commedia” vera e propria, cioè di sovvertire ciò che già sappiamo attraverso la risata. Non è nemmeno chiaro se voglia ridere dei personaggi o con i personaggi, se cioè abbia un atteggiamento cattivo nei loro confronti o comprensivo della realtà che vivono loro malgrado.

Non sono lo scenario (abbastanza noto), la finalità della trama (il trionfo dell’amore come si conviene) o l’ambientazione matrimoniale ad impedire al film di trovare un suo carattere e una sua originalità, quelli sono solo vestiti che Io che amo solo te indossa per fare bella figura, convenzioni comuni al genere cui appartiene, è semmai ciò che quel vestito contiene a deludere. Le singole scene, le gag, la visione che ha dei suoi personaggi, l’ironia o anche solo l’acume che mette nel raccontarli come caratteri da commedia sembrano presi di peso dagli altri film italiani di buon successo degli ultimi anni.

Ponti non ha interesse a legare questo suo film alla filmografia dei suoi protagonisti, né alla propria (per quanto sarebbe stato interessante visti i nomi coinvolti), non è il suo carattere e non l’ha mai fatto, per lui ogni film è una storia nuova, un genere nuovo. Però non si può fare a meno di notare che quella che 2-3 film fa, a prescindere dal gradimento, gli veniva riconosciuta come una certa forza eversiva, un certo desiderio di originalità e di affermare la propria alterità da quel che il cinema italiano propone sono scomparse. Quel rimane oggi da un film come Io che amo solo te è un regista abile con obiettivi minuscoli.

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