Io C'è, la recensione

Commedia tradizionale fino a metà, Io C'è si fa prendere dal suo furore antireligioso, smette di essere sottile e perde ogni forza e ogni spunto

Critico e giornalista cinematografico


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In Io C’è è così forte l’urgenza di pronunciarsi contro le religioni organizzate e spiegare come siano implausibili costruzioni finalizzate al mantenimento di una forma di potere sociale ed economico, che manda all’aria tutto l’impianto di commedia. L’idea originaria infatti non era male: un traffichino che sta progressivamente sperperando il patrimonio di famiglia in attività fallimentari, con il suo bed and breakfast finisce in concorrenza con delle suore, lui si mantiene a stento mangiato vivo dalle tasse, loro fanno accoglienza ad “ospiti” che finito il soggiorno fanno “donazioni”, così possono non pagare le tasse e prosperare. Ispirato decide di fare lo stesso ma non trova preti, imam o rabbini compiacenti per avere la destinazione d’uso religioso e così opta per la scelta radicale di fondare una sua religione.

A questo punto Io C’è inizia a perdersi. Perché una volta impostata la prospettiva e mostrato l’intreccio, introduce Giuseppe Battiston, ideologo del terzetto formato dal proprietario del BnB Edoardo Leo (di nuovo nel ruolo di capo di una banda che agisce borderline con la legalità) e la sua sorella più inquadrata Margherita Buy, uno scrittore intellettuale che ha il compito di inventare i fondamenti della religione così che siano plausibili e abbiano senso. Da questo momento il furore antireligioso avrà la meglio su tutto e avrà la meglio sul film invece che alimentarlo sottilmente. Ovviamente l’impresa ben presto sfuggirà di mano a tutti e la religione fasulla inizierà ad avere veri adepti convinti e credenti, anche al di là delle convinzioni dei tre truffatori.

Per come è impostata la scrittura di Io C’è il film sembrava avere tutti i presupposti per dire qualcosa di interessante anche senza insistere troppo sulla materia. L’idea di creare una religione per interesse fiscale, e il fatto di poterlo fare effettivamente è in sé molto forte, per questo comincia a suonare ridondante la maniera in cui Aronadio ripete di scena in scena l’artificiosità della sua religione a confronto con la medesima artificiosità delle altre. Diventa tedioso il fatto che paia più interessato a mostrare le intenzioni malevole dei fondatori più che le peripezie dei personaggi.

In più Io C’è ben presto esaurisce i fatti da raccontare e inizia ad affidarsi ad un umorismo che non funziona più. Qualcosa a metà film si rompe, altri personaggi sono introdotti per portare avanti la trama (Giulia Michelini, adepta con problemi di salute che sviluppa una relazione con il guru Edoardo Leo) ma è tutto molto più fiacco ed esterno al nocciolo che aveva fatto partire la storia, ovvero fondare una religione per non pagare le tasse. La trama diventa un’altra, diventa cosa accade ad un guru quando i suoi adepti credono più di lui ai suoi predicamenti, ed è purtroppo peggiore della prima.

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