Io C'è, la recensione
Commedia tradizionale fino a metà, Io C'è si fa prendere dal suo furore antireligioso, smette di essere sottile e perde ogni forza e ogni spunto
A questo punto Io C’è inizia a perdersi. Perché una volta impostata la prospettiva e mostrato l’intreccio, introduce Giuseppe Battiston, ideologo del terzetto formato dal proprietario del BnB Edoardo Leo (di nuovo nel ruolo di capo di una banda che agisce borderline con la legalità) e la sua sorella più inquadrata Margherita Buy, uno scrittore intellettuale che ha il compito di inventare i fondamenti della religione così che siano plausibili e abbiano senso. Da questo momento il furore antireligioso avrà la meglio su tutto e avrà la meglio sul film invece che alimentarlo sottilmente. Ovviamente l’impresa ben presto sfuggirà di mano a tutti e la religione fasulla inizierà ad avere veri adepti convinti e credenti, anche al di là delle convinzioni dei tre truffatori.
In più Io C’è ben presto esaurisce i fatti da raccontare e inizia ad affidarsi ad un umorismo che non funziona più. Qualcosa a metà film si rompe, altri personaggi sono introdotti per portare avanti la trama (Giulia Michelini, adepta con problemi di salute che sviluppa una relazione con il guru Edoardo Leo) ma è tutto molto più fiacco ed esterno al nocciolo che aveva fatto partire la storia, ovvero fondare una religione per non pagare le tasse. La trama diventa un’altra, diventa cosa accade ad un guru quando i suoi adepti credono più di lui ai suoi predicamenti, ed è purtroppo peggiore della prima.