Io Capitano, la recensione | Festival di Venezia

Garrone ancora una volta sceglie una strada per niente semplice, rischia tutto e fa in prima battuta di Io Capitano il racconto di formazione di un adolescente dall’età dell’ingenuità a quella delle responsabilità, una fiaba dark dove il contesto straordinario è qui quello, per l’appunto, di una più che reale rotta di sopravvivenza. Il fronte del Mediterraneo.

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La recensione di Io Capitano, presentato in Concorso al Festival di Venezia 2023

A quanto pare ci voleva proprio il coraggio di Matteo Garrone per riuscire a portare finalmente sullo schermo un film così attuale e importante come Io Capitano: il racconto puntuale, dall’inizio alla fine, della rotta dei migranti del Mediterraneo, dall’Africa all’Italia. Io Capitano poteva essere tante cose, poteva accontentarsi di essere un film-testimonianza, una denuncia catastrofista, un j’accuse arrabbiato. E invece Garrone ancora una volta sceglie una strada per niente semplice, rischia tutto e fa in prima battuta di Io Capitano il racconto di formazione di un adolescente dall’età dell’ingenuità a quella delle responsabilità, una fiaba dark dove il contesto straordinario è qui quello, per l’appunto, di una più che reale rotta di sopravvivenza. Il fronte del Mediterraneo.

Il rischio, grandissimo, è che Io Capitano sembri un film decisamente edulcorato, ingenuo quanto il suo personaggio quando, nel presentare la vita del sedicenne Seydou (Seydou Sarr), mostra il Senegal come una terra quasi idilliaca, colorata, di visi sorridenti, persone unite, danze e convivialità. È tuttavia proprio questa edulcorazione fiabesca e insieme l’ingenuità incredibile di Seydou e di suo cugino Moussa (Moustapha Fall) a rendere universale e molto più empatizzabile a un occhio straniero questo personaggio e, di conseguenza, un’avventura che invece di familiare, per noi, non ha proprio nulla.

Io Capitano segue Seydou e Moussa da Dakar passando per l’immensità e le insidie del deserto, il terrore delle prigioni libiche fino ad arrivare a ciò che spesso vediamo nei media, un barcone sovraffollato di persone disperate che cercano di sopravvivere e di rimanere umane in mezzo a tanto dolore. Si tratta di un viaggio che nel film prosegue semplicemente dritto, non concede la sua attenzione ad altro e soprattutto rimane sempre ancorato al suo protagonista (non vediamo mai cosa si lascia indietro), rendendoci obbligatoria la visione di un percorso altrettanto obbligato, dove letteralmente chi si ferma o rimane indietro è perduto.

Dal momento in cui Seydou incontrerà per la prima volta la crudeltà, ecco che veramente il film comincia a mostrarci la progressiva crescita di consapevolezza del suo protagonista, la violenta uscita da un mondo dei sogni e dei balocchi (quasi Garrone rievocasse il suo Pinocchio) a quello crudele degli adulti, dove il denaro e tutto ciò che nell’immaginazione è più grande e potente delineerà i suoi più spietati contorni.

Seydou Sarr dà un’interpretazione perfettamente centrata sulle intenzioni di Garrone, il suo sguardo dolce e ingenuo osserva l’orrore ma trattiene sempre una speranza commovente, portando avanti con il suo personaggio l’idea che nessuno, mai, deve essere lasciato indietro.

Io Capitano è un film che sicuramente farà discutere proprio per la particolarità del suo tono, la controversa scelta di essere una fiaba e forse del rendere tutto anche troppo facile, troppo poco crudo. Una richiesta che sarebbe forse insensata, ma che solo nel suo porsi speriamo possa portare Io Capitano al centro del dibattito pubblico. Che è, alla fine dei conti, ciò che si auspica riesca a fare un film come questo.

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