Inu-Oh, la recensione | Venezia 78
Un delirio abbagliante di visuals e musica rock per raccontare due star del teatro No del 1300. Inu-Oh è l'ultima cosa che si poteva prevedere
C’è da capirlo subito proprio, con quel montaggio elettrico che dalle strade di pioggia notturna di oggi di salto in salto ci porta nel Giappone feudale del 1300, che stavolta (finalmente) Masaaki Yuasa sta lavorando al di fuori del sistema. Inu-oh è un film d’animazione tecnicamente molto molto imperfetto, animato con tantissima testa e un occhio eccezionale, è pieno di idee ma non di soldi. È un film che non batte percorsi per forza commerciali, rifiuta qualsiasi semplicismo, si può permettere scelte fuori dai canoni ed è bellissimo.
Ma che libertà artistica in questo film! Che elettricità! E che scelta lasciare questi brani di 5 o 6 minuti per intero, farci vedere tutta la performance live, il pubblico dell’epoca (spesso mutilato) incendiato fare break dance e le storie che raccontano (ispirati dagli Heike tradizionali) visualizzarsi liberamente, senza stare troppo a badare alla forma e alla coerenza narrativa. Questa rock opera feudale che non risponde a nessuna regola del buon cinema e in cui da un certo punto in poi la musica non smette mai, è arrogantissima e sa cosa vuole. Ha un’idea di fantasia e produzione artistica semplice e polemica (lo Shogun non vuole che suonino perché perturbano gli animi) che si sposa con i diversi atteggiamenti delle due star, una pronta a compromettersi l’altra invece no, dura e pura.
Ma il bello del film è che come in un musical non tutto deve tornare, importa molto di più l’adrenalina, la musica e quello che visivamente si riesce a creare. Tantissimo in questo caso. Come quando quelle che noi siamo abituati a pensare come muse (cioè il principio immateriale a cui deleghiamo la fonte della creatività) si rivelano essere demoni, demoni che vogliono bambini, demoni dai cui patti per avere il successo (come in Rosemary’s Baby) sono nati proprio i protagonisti. Demoni del rock che hanno creato le due grandi anime del teatro No. L'innovazione non è frutto degli angeli è un delirio che spacca tutto partorito dal diavolo in persona.